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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

venerdì 26 dicembre 2014

Interiors - Woody Allen

Interiors, film di Woody Allen del 1978, vanta due primati in seno alla carriera cinematografica del regista americano: è il primo film drammatico, dopo svariati film comici e commedie; ed è inoltre il primo film in cui Allen non compare anche come attore.

A mio avviso, entrambe le cose sono due difetti, e Interiors, uno dei pochi film di Allen che mi mancavano da vedere all’interno della sua ricca filmografia, prova quanto già avevo largamente veduto nella produzione filmica recente: nel genere drammatico egli rende molto di meno… semplicemente perché ha natura di comico.

Con buona pace delle sue ambizioni, nonché di quegli stessi film (commedie…) in cui il protagonista era un regista che voleva cambiare genere, passando dalla commedia al dramma, osteggiato in ciò sia dalla critica che dal pubblico (Stardust memoriesHollywood ending).

Ma veniamo alla trama di Interiors, che in pratica ruota intorno alla famiglia Marshall: padre, madre, e soprattutto le tre sorelle, tra cui primeggia la vecchia musa di Allen, Diane Keaton (cito al volo il classico Manhattan), che interpreta Renata, la maggiore e più talentuosa delle tre, seguita da Joey e da Flyn. Ad esse si aggiungono i mariti delle prime due, Frederick e Mike. Praticamente tutti hanno occupazioni in campo artistico o espressivo, tra la scrittura, il giornalismo, la decorazione d’interni.

Ad essi si aggiunge anche il padre, Artur, che un bel giorno annuncia alla famiglia che vuole separarsi dalla moglie per vivere per conto suo, cosa che darà il via ad energie latenti ma già presenti, soprattutto per via della moglie Eve, semidepressa e fortemente attaccata a marito e famiglia. 

Interiors ha avuto un’accoglienza eccellente da parte della critica, e ha vinto numerosi premi. Senza dubbio il film è tecnicamente ben fatto, e certamente un ottimo regista come Allen, pur se cambia genere, non diventa un incapace tutto d’un tratto.
La fotografia è ottima, per esempio… mentre incuriosisce la totale assenza di colonna sonora, cosa che ne fa un film molto silenzioso e introspettivo (fatto peraltro intuibile già dal titolo).

Il fatto è che, semplicemente, se ai film tradizionali di Woody Allen, tutti gag, ironia, vivacità e fisime psicologiche, togli gag, ironia e vivacità… rimangono solo i problemi psicologici, esattamente come in Interiors.
E personalmente lo trovo uno spettacolo un po’ deprimente.
Ben fatto, certo, ma deprimente, o comunque semplicemente noioso, tanto che consiglio il suddetto film solo a chi ama i film psicologico-drammatici, con tanto di pianti, litigi e scenate, tentati suicidi, problemi coniugali, separazioni, morti.


Fosco Del Nero



Titolo: Interiors (Interiors).
Genere: drammatico, psicologico.
Regista: Woody Allen.
Attori: Diane Keaton, Richard Jordan, Geraldine Page, Mary Beth Hurt, Kristin Griffith, Maureen Stapleton, E.G. Marshall, Sam Waterston.
Anno: 1978.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 24 dicembre 2014

La storia del cammello che piange - Luigi Falorni, Byambasuren Davaa

“Questo film è solo una lagna: bambini che si lagnano, pecore che si lagnano, strumenti musicali che lagnano, canti che sono delle lagne, perfino la natura con il suo vento sembra lagnarsi. E i cammelli? Non vi preoccupate, si lagnano anche loro. Si vede proprio che questo film è stato girato con occhi occidentali: alla fine desidererete vivere in una grossa metropoli.”

In rete ho trovato questo commento-recensione al film proposto quest’oggi, ossia La storia del cammello che piange, film documentario che è stato anche la prova di laurea del regista, Luigi Falorni, ad una scuola di cinema tedesco.

Il commento è un po’ ingeneroso, però occorre ammettere due cose: intanto, che è divertente (il commento, non il film), e in secondo luogo che sintetizza abbastanza bene il film, che in effetti è costituito da un’ora e mezza di lamenti e rumori più o meno strazianti.

Persino i dialoghi tra i protagonisti, già rari e poco intensi per conto loro, sono sottotitolati solo in parte, col risultato che allo spettatore rimane solo ciò che vede e ciò che sente.
Sì, giacché il film, che è più un documentario che un film, non ha una trama, se non il poco che segue: siamo nel Deserto del Gobi, nella Mongolia del sud. Una famiglia di allevatori di cammelli aiuta una giovane cammella a partorire il suo primo figlio… che però lei poi non accetterà, negandogli il suo latte, perché albino.

La famiglia cerca allora in tutti i modi di far accettare il figlio alla madre, e alla fine ricorrerà ai servigi di un violinista fatto arrivare da una città lontana, il quale… giustificherà il titolo del film.

Se non c’è quasi trama, e se non ci sono che pochi dialoghi, e privi essenzialmente di significato, e ovviamente senza colonna sonora o altre frivolezze, rimane per l’appunto un prodotto-documentario, che forse interesserà gli appassionati dell’Estremo Oriente, o della vita desertica, ma che rischia di annoiare seriamente lo spettatore medio.

Con tutto che anche il panorama proposto, molto polveroso e monotono, non aiuta lo spettatore per quel poco che era rimasto…

Si dica che, alla fine, la cosa più vivace (e forse più riuscita, ciò che è inquietante) è la carrellata finale dei personaggi… che però dura pochissimo.

Insomma, non me ne voglia il regista, ma La storia del cammello che piange, e lo dico da appassionato del mondo orientale che, giusto per dirne una, si è appena letto un libro sugli ultimi decenni di Cina e dintorni, proprio non mi ha preso per nulla: e forse, pur a parità di trama e ritmo, sarebbe stato meglio rinunciare a un poco dell’aspetto documentaristico per introdurre un po’ di aspetto poetico, quasi del tutto assente anch'esso.

Fosco Del Nero



Titolo: La storia del cammello che piange (Die geschichte vom weinenden kamel).
Genere: documentario.
Regista Luigi Falorni, Byambasuren Davaa.
Attori: Janchiv Ayurzana, Chimed Ohin, Amgaabazar Gonson, Zeveljamz Nyam, Ikhbayar Amgaabazar, Odgerel Ayusch, Enkhbulgan Ikhbayar,Uuganbaatar Ikhbayar.
Anno: 2003.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 18 dicembre 2014

La morte ti fa bella - Robert Zemeckis

Teoricamente La morte ti fa bella avrebbe dovuto essere un capolavoro assoluto, data la paternità e l’interpretazione.
Da un lato difatti abbiamo Robert Zemeckis (regista di Chi ha incastrato Roger Rabbit?, Ritorno al futuro, Ritorno al futuro - Parte 2, Ritorno al futuro - Parte 3, La leggenda di Beowulf, Contact, A Christmas carol), mentre dall’altro abbiamo un quartetto che al tempo (1992) non era mica da ridere: Bruce Willis (L'esercito delle dodici scimmie, Sin City, FBI - Protezione testimoniFaccia a faccia, Il quinto elemento, Looper - In fuga dal passato), Meryl Streep (Il diavolo veste Prada, La mia Africa, Manhattan), Goldie Hawn (Shampoo, Tutti dicono I love you) e Isabella Rossellini (Velluto blu, The OdysseyRoger Dodger).

Se vogliamo poi aggiungere un altro nome, uno dei due sceneggiatori è David Koepp, e si tratta di una grande firma come sceneggiatore: Mission impossible, Jurassic Park, La guerra dei mondi, Indiana Jones e il regno del teschio di cristalloCarlito's way

A ciò si aggiunge anche il premio Oscar per gli effetti speciali, e sembrerebbe una marcia trionfale…

… ma purtroppo non è così: La morte ti fa bella è uno di quei film che commettono l’errore di specchiarsi in se stessi, fiduciosi che i loro elementi di originalità o la bravura dei protagonisti basti ad elevarne il livello.

Ed è un peccato, perché l’idea di fondo era originale, e in taluni momenti il film fa intravedere la classe dei suoi interpreti, nonché momenti di autentica atmosfera, legati soprattutto alle scene con Isabella Rossellini.

Tuttavia, i dialoghi sono banalotti, i personaggi danno prova di intelligenza davvero scarsa e poco credibile, e la morale di fondo è ugualmente sempliciotta, pur se condivisibile.

Ma abbandoniamo questa critica feroce e andiamo alla trama de La morte ti fa bella: siamo nel 1978, quando Helen Sharp, un'aspirante scrittrice un po' insicura, presenta al suo fidanzato Ernest Menville, chirurgo di ottime prospettive, la sua amica Madeline Ashton, attrice non particolarmente dotata ma con un’aria da grande donna, tanto da aver fama di femme fatale.

Fatale, almeno, per la relazione tra Ernest e Helen, col primo che finisce per sposare proprio Madeline, e la seconda che si sfoga col cibo, diventando nel giro di sette anni un’obesa a rischio psicosi…

… ma ricomparendo, dopo altri sette anni, come cinquantenne in forma e charmant.

Passiamo così dal 1978 al 1992, ed è qui che si svolge il grosso del film, che poi vedrà il finale nel 2023.
E a tal proposito va detto che il finale con cui è stato diffuso il film non era quello programmato in origine, che viceversa era molto difforme, tanto che, per seguire il nuovo finale, sono state tagliate numerose scene e persino un intero personaggio.

Tornando a me ed alla mia severa valutazione, devo aggiungere che ho anzi un po’ sofferto nel vedere la bellissima Goldie Hawn di Shampoo così mal ridotta e che ho sofferto in generale nel vedere Meryl Streep, attrice magari tecnicamente brava ma che non mi è mai piaciuta. Quanto a Isabella Rossellini, non fa altro che mostrare il proprio corpo, mentre Bruce Willis è l’unico che dà mostra di bravura nell’interpretare un ruolo che mai gli era stato cucito addosso, dando segno di avere qualcosa in più della monoespressione da duro normalmente dipintagli addosso dai registi.

Insomma, anche il cast in teoria eccellente non mi ha impressionato poi tanto…
… anche se forse, semplicemente, la buona idea originale non è stata ben sviluppata, specialmente nella seconda parte del film, un po’ caciara e confusa.

E, ripeto, peccato.

Fosco Del Nero



Titolo: La morte ti fa bella (Death becomes her).
Genere: fantastico, commedia.
Regista: Robert Zemeckis.
Attori: Bruce Willis, Meryl Streep, Goldie Hawn, Isabella Rossellini, Sydney Pollack, Adam Storke, Ian Ogilvy, John Ingle.
Anno: 1992.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 17 dicembre 2014

La leggenda di Bagger Vance - Robert Redford

Mi sembra quasi impossibile che questo gioiello di film mi sia sfuggito per ben quattordici anni: tanti ne ha difatti La leggenda di Bagger Vance, film diretto nel 2000 da Robert Redford.

Il mio stupore cresce peraltro considerando il ricco cast del film, comprendente tra l’altro alcuni dei miei attori preferiti: Will Smith, per esempio, ma anche Matt Damon, affiancati da Charlize Theron, oltre che da vari altri attori minori (tra cui quel Bruce McGill che sa molto di McGyver).

Andiamo subito alla trama del film, e poi parliamo dei suoi contenuti, davvero belli e interessanti: nella città di Savannah, in Georgia, l’intraprendente Adele Invergordon (Charlize Theron; Aeon FluxHancockLa maledizione dello scorpione di giada), per salvare l'impresa di famiglia, decide di organizzare il più grande torneo di golf di tutti i tempi e coinvolge nell’iniziativa i due più famosi golfisti in attività: Bobby Jones e Walter Hagen… a cui si decide, su suggerimento del piccolo Hardy Greaves, di affiancare un giocatore del luogo, individuato in Rannulph Junuh (Matt Damon; Dogma, Rounders - Il giocatoreWill hunting - Genio ribelle), ex enfant prodige del golf, persosi però negli anni seguenti tra la guerra e l’alcol.
Ad aiutarlo in quella che sembra una missione impossibile, il misterioso caddie Bagger Vance (Will Smith; Man in black, Io sono leggenda, HitchHancock, ma anche Independence DayIo, robot, nonché l'indimenticabile sitcom Willy il principe di Bel Air)… che man mano si rivelerà essere un vero e proprio maestro di vita.

Diciamo subito che la trama de La leggenda di Bagger Vance è davvero lineare, essenzialmente priva di colpi di scena o di intrighi, il che probabilmente scoraggerà le persone attratte da movimento e spettacolo…

… mentre al contrario i contenuti della storia, nonché i dialoghi brillanti, attireranno le persone che amano per l’appunto profondità e crescita interiore.

Perché è esattamente di questo che tratta il film: la crescita interiore del protagonista, Rannulph Junuh, che si ritrova davanti un evento utile a fargli fare il successivo passo nella sua evoluzione personale, e una guida arrivata lì “per caso” ad aiutarlo.

E del film non c’è altro da dire, se non che è tratto dall’omonimo romanzo di Steven Pressfield.
Non vi sono altri commenti da fare, ma vale certamente la pena leggersi qualche frase del film, tutte del co-protagonista Bagger Vance, che apparentemente parla del golf, ma di fatto parla del cammino di crescita personale cui è chiamata ogni persona (non solo Rannulph Junuh)... e che rappresenta una sorta di guida spirituale-angelo custode.

“Il ritmo del gioco è come il ritmo della vita.”

“Il trucco sta nel trovare il proprio swing.
Tu hai perso il tuo swing... dobbiamo andare a cercarlo.
Ora è da qualche parte, nell'armonia di tutto quello che c'è.”

“Dentro ciascuno di noi c’è un solo vero autentico swing. Una cosa con cui siamo nati, una cosa che è nostra e nostra soltanto, una cosa che non ti può essere insegnata e non si impara, una cosa che va ricordata sempre. E col tempo il mondo può rubarci quel nostro swing, che può finire sepolto dentro di noi, sotto tutti i nostri avrei voluto, e potuto e dovuto. C’è persino chi si dimentica com’era il suo swing… Ascolta i sogni: continua a fare lo swing col bastone fino a che sarai parte del tutto.”

“Non ti preoccupare di colpire la palla o di dove andrà... basta che muovi il bastone, che senti il bastone.
Continua a fare lo swing col bastone fino a che non sarai parte del tutto.”

“Fa in modo di entrare in contatto con se stesso, trova la concentrazione E ha tanti colpi tra cui scegliere, ma c’è soltanto un colpo che è in perfetta armonia con il campo, un colpo che è il suo, un colpo autentico. E lui sceglierà proprio quel colpo. C’è un colpo perfetto che cerca di raggiungere ciascuno di noi, non dobbiamo far altro che toglierci dalla sua traiettoria, lasciare che lui scelga noi.” 

“Vedi quella bandiera? È un bel drago da sconfiggere. Ma se lo guardi con occhi gentili, vedrai il punto in cui le maree, e le stagioni, e il roteare della Terra, tutto si incontra. E tutto ciò che è diventa uno. Tu devi cercare quel posto con il tuo cuore.”

“Cercalo con le mani, sentilo. Le tue mani sono più sagge di quanto sarà mai la tua testa. Ma non ti ci posso portare io, spero solo di poterti aiutare a trovare la via.”

“C’è un tempo per fare quel colpo, e c’è un tempo per lasciarlo nella sacca. Secondo te che momento è adesso?”

“Quello di cui sto parlando io è un gioco. Un gioco che non si può vincere, ma solo giocare.”

“Junuh aveva coperto come smettere di pensare senza addormentarsi.”

“Non c’è un’anima su tutta la Terra che abbia un fardello più pesante di quanto possa sopportare… … però questo lo hai portato abbastanza a lungo: è tempo di andare avanti e di liberarsene.”

“Puoi scegliere: fermarti o cominciare.”
“A fare cosa?”
“A camminare?”
“Per dove?”
“Per tornare indietro, dove sei sempre stato... e poi starai lì, fermo, immobile, e ricordare.”

“È successo troppo tempo fa.”
“Oh no, è stato solo un momento fa.”

“Gioca il tuo gioco: quello che soltanto tu eri destinato a giocare. Quello che ti è stato donato quando sei venuto al mondo.”

“Colpisci quella palla, non trattenere niente, dai tutto te stesso. Il momento è ora.”

“È tempo di uscire dalle ombre.”
“È tempo per te di scegliere.”

“Non sei solo: insieme a te ci sono io.
Sono sempre stato qui.”

“Te ne vai?”
“Sì, me ne vado.”
“Ho bisogno di te.”
“No, non hai bisogno di me. Ora non più”

Davvero non male.
Quanto basta per far diventare La leggenda di Bagger Vance uno dei miei film preferiti di sempre.

Un’ultima considerazione: la storia, nella sua essenza, ricorda molto l’episodio evangelico del pastore che va a cercare la pecorella smarrita. Bagger Vance, col suo afflato da guida/angelo, è il pastore, mentre Rannulph Junuh è la pecora che si era perduta e che viene riportata all’ovile. Non per nulla la guida, una volta conclusa la sua missione di “recupero”, se ne va, probabilmente per dedicarsi a qualche altra pecorella smarrita.

Fosco Del Nero



Titolo: La leggenda di Bagger Vance (The legend of Bagger Vance).
Genere: commedia, psicologico, sport, surreale.
Regista: Robert Redford.
Attori: Matt Damon, Will Smith, Charlize Theron, Bruce McGill, Joel Gretsch,J. Michael Moncrief, Lane Smith, Peter Gerety, Michael O'Neill, Thomas Jay Ryan.
Anno: 2000.
Voto: 8.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 11 dicembre 2014

Una commedia sexy in una notte di mezza estate - Woody Allen

Come ho già scritto in un’altra recensione, sto terminando di vedere tutta al filmografia di Woody Allen, uno dei miei registi preferiti di sempre: avevo già visto la quasi totalità dei suoi film, e sto per l’appunto sistemando gli ultimi tasselli.

Uno di questi era Una commedia sexy in una notte di mezza estate, vivace film del 1982 con protagonisti lo stesso Woody Allen, la sua futura compagna Mia Farrow, qua per la prima volta diretta da lui (sarebbero seguiti, tra gli altri, Hannah e le sue sorelle, La rosa purpurea del Cairo, Crimini e misfatti, Ombre e nebbia, Broadway Danny Rose… ma va assolutamente ricordato anche l’horror Rosemary's baby), e Mary Steenburgen (che di mio associo sempre a Ritorno al futuro - Parte 3).

Ecco in breve la trama del film: siamo a inizio Novecento, quando Andrew e Adrian, una coppia in crisi, ospita per alcuni giorni altre due coppie nella sua casa di campagna: una è composta da Leopold e Ariel, un attempato filosofo e una vecchia fiamma di Andrew; mentre l’altra è composta da Maxwell e Dulcy, rispettivamente il migliore amico di Andrew, dentista, e la sua assistente infermiera.

Tre coppie in larghi spazi: quindi, inevitabilmente, flirt e ammiccamenti vari, tanto da configurare dei veri e propri cambi di coppia.

Meno prevedibile, invece, è l’elemento fantastico inserito dal regista nel film: Andrew è un inventore dilettante, e tra le altre cose ha inventato una sfera che evoca presenze di spiriti ed energie, e ogni tanto fa vedere scene svoltesi nei dintorni nel passato o nel presente.
Curiosamente, l’oggetto, di forma più o meno sferica, ha al suo fianco una cavità aperta a forma di occhio, e quando l’oggetto è in funzione s’illumina una sorta di occhio verticale che fa molto occhio rettiliano-occhio che tutto vede-occhio de Il signore degli anelli. E contando le “vicinanze” di Woody Allen e della stessa Mia Farrow la cosa s’inserisce in quelle tante coincidenze del cinema americano.

Ma lasciamo perdere le coincidenze-non coincidenze, e torniamo a Una commedia sexy in una notte di mezza estate, che mantiene esattamente quello che promette dal titolo: si tratta di una commedia vivace, con l’elemento sensuale al centro della scena… oltre al solito umorismo di Woody Allen, ovviamente, per l’occasione più semplice e meno nevrotico del solito.

Nel complesso, Una commedia sexy in una notte di mezza estate è un buon film: non tra i migliori lavori di Allen, ma nemmeno tra i peggiori, il che vuol dire, contando la filmografia del regista, un buon prodotto.

Fosco Del Nero



Titolo: Una commedia sexy in una notte di mezza estate (A midsummer night's sex comedy).
Genere: commedia, comico, sentimentale.
Regista: Woody Allen.
Attori: Woody Allen, Mary Steenburgen, Mia Farrow, Tony Roberts, José Ferrer, Julie Hagerty, Michael Higgins.
Anno: 1982.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 10 dicembre 2014

La grande avventura di Hols - Isao Takahata

La recensione di oggi è dedicata al film d’animazione La grande avventura di Hols.
Un film d’animazione giapponese, ad esser precisi. E, ad esser più precisi, un film d’animazione diretto da Isao Takahata, cofondatore dello Studio Ghibli e collaboratore storico di Hayao Miyazaki, suo produttore di alcuni film, tra cui Nausicaa della Valle del vento e Laputa - Castello nel cielo, nonché regista egli stessi di alcuni classici dell’animazione giapponese, come Pom Poko, Omohide poro poro e Una tomba per le lucciole.

Sempre per essere il più possibile precisi, La grande avventura di Hols è stato tradotto con diversi titoli, tra cui La grande avventura di Horus, La grande avventura del piccolo principe Valiant e Il segreto della spada del sole.

Si tratta di un film non particolarmente lungo, neanche un’ora e venti, e piuttosto risalente, essendo datato 1968, cosa che si vede grandemente nel tratto grafico, davvero rozzo rispetto al giorno d’oggi…

… e probabilmente anche in una sceneggiatura ugualmente semplicistica, diretta con uguale probabilità a un pubblico giovanile molto più di quanto sarebbero stati i lavori successivi tanto di Takahata che di Miyazaki, che spesso si sono soffermati su questioni come l’ecologia, la natura, la felicità delle persone, etc (anche se ho letto che i fan sfegatati del duo Takahata-Miyazaki hanno lamentato una trasposizione pessima per formato video e per traduzione, cosa che avrebbe inficiato il valore finale dell'opera).

Ma veniamo a noi, ossia a La grande avventura di Hols ed alla sua trama: Hols è un giovane guerriero, e a dispetto della sua giovanissima età (è un adolescente), ha coraggio e forza da vendere. Tanto che non si deprime certamente per la morte del suo affezionato padre, e parte subito alla ricerca del villaggio da cui proveniva la sua famiglia.
Trovatolo, troverà però anche tanti problemi, generati essenzialmente dal cattivo Grunwald, il Signore dei Ghiacci, che prima propone al ragazzo di diventare suo amico e collaboratore, e poi, alla sua risposta negativa, gli dichiara guerra, scatenandogli contro i suoi lupi argentati e i suoi poteri malefici.
Hols, aiutato dal fidato orso Koro, da alcuni paesani coraggiosi, e a un certo punto anche dalla misteriosa Hilda, cerca con tutte le sue forze di sconfiggere Grunwald e di salvare così il villaggio.

La grande avventura di Hols è tutto sommato una storia semplice, e come detto è molto semplice anche il tratto grafico.
Pur in assenza di meraviglie tecniche, di una grande atmosfera o di colpi di scena (l’unico presente era abbastanza prevedibile), il film propone qualche momento di bellezza, legato soprattutto alla musica, alle voci e ai balli dei protagonisti.

Per il resto si fa seguire simpaticamente, giacché non è difficile simpatizzare per il volenteroso e generoso Hols (Horus nel film originario, da cui la Spada del Sole che a un certo punto trova), ma, come detto, il tutto rimane su livello si men che sufficienza.

Anni luce al di sotto di tutti i film di Miyazaki o anche di Pom Poko, per citarne uno di Isao Takahata, che viceversa, per bellezza, tematiche e originalità, vi consiglio.

Fosco Del Nero



Titolo: Alice (Taiyo no oji - Horusu no daiboken).
Genere: animazione, fantasy, avventura.
Regista: Isao Takahata.
Anno: 1968.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 4 dicembre 2014

Angeli e demoni - Ron Howard

Da poco mi sono visto Il codice da Vinci, che in questi anni non avevo mai visto perché, semplicemente, non mi ispirava troppo… anche per via del protagonista, Tom Hanks, che non mi è mai piaciuto troppo come attore.

L’ispirazione, peraltro, aveva trovato conferma nella realtà, visto che il film si è rivelato non più di un sufficiente thriller-action pieno zeppo di simboli e presunti misteri, tuttavia posti un po’ a casaccio qui e lì senza una visione di fondo unitaria.

Comunque, giacché c’ero, mi sono visto a seguito anche Angeli e demoni, il suo sequel: se il protagonista è il medesimo Tom Hanks (che già non era un attore brillante da giovane, e che ora ha una mimica facciale ancora peggiore, quasi una smorfia perenne sul viso, tanto che non mi spiego come mai continuino a dargli delle parti), cambia totalmente sia la scenografia, sia la trama: ci spostiamo da Parigi a Roma, e dai complotti del Priorato di Sion a quelli degli Illuminati

Coerentemente con la città, cambia anche la nazionalità degli attori, e si passa dall’avere nel cast molti francesi (il poliziotto Jean Reno, per esempio) all’avere molti italiani (la guardia vaticana Pierfrancesco Favino, o il carabiniere Victor Alfieri)… anche se poi ciò è marginale e lo schema del film resta il medesimo: Robert Langdon-Tom Hanks, affiancato da una bella donna (l'altra volta Audrey Tautou, stavolta Ayelet Zurer), corre per la città cercando di risolvere degli indizi, in una frenetica corsa contro il tempo.

E contro degli assassini da un lato folli, da un altro lato davvero machiavellici e astuti nelle loro macchinazioni, anche se per certi versi piuttosto sempliciotti, tanto da rendere a dir poco improbabile la complessità delle loro operazioni, culmine di secoli di macchinazioni.

E ciò vale soprattutto per Angeli e demoni, film ancora più superficiale, nella ricerca storica, del suo predecessore.

Certo, lo sostiene per lo meno la componente d’azione, nonché le bellezze di Roma, ma è davvero poco, specie se si conta che in mezzo c’è sempre il faccione di Tom Hanks con la sua smorfia onnipresente (ma come mai gli danno ancora delle parti?).

Contando inoltre la lunga durata del film, ben oltre le due ore, il tutto non vale a mio avviso la candela… e ciò senza contare il finale da un lato davvero poco credibile, e dall’altro il fatto che, proprio come era stato per Il codice da Vinci, si intuisce il colpevole ben prima dello scioglimento dei nodi finali.

Fosco Del Nero



Titolo: Angeli e demoni (Angels and demons).
Genere: thriller, giallo, storico.
Regista: Ron Howard.
Attori: Tom Hanks, Ewan McGregor, Ayelet Zurer, Stellan Skarsgård, Pierfrancesco Favino. Nikolaj Lie Kaas, Armin Mueller-Stahl, Norbert Weisser, Masasa Moyo.
Anno: 2009.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 3 dicembre 2014

Gli amanti del Circolo Polare - Julio Medem

Non mi ricordo perché mi ero segnato Gli amanti del Circolo Polare: forse me lo aveva consigliato qualcuno, o forse lo avevo segnato per via del regista, quel Julio Medem che aveva avuto tanti riscontri per La tierra o per Lucia y el sexo… che peraltro non ho mai visto, essendo questo il primo film del regista spagnolo che guardo.

Film che peraltro è una coproduzione spagnolo-francese, e anche la seconda componente si intravede ogni tanto (non so perché, ma attori e film francesi li riconosco a vista; deve esserci una qualche risonanza dietro)… col film che però non si muove tra Spagna e Francia, ma tra Spagna e Finlandia, come peraltro suggerisce il titolo stesso.

Gli amanti del Circolo Polare è un film davvero particolare, sia perché procede a grandi balzi temporali rinunciando alla più comoda linearità, sia perché alterna due punti di vista, sia per il genere, oscillante tra sentimentale e drammatico, ma con qualche elemento surreale, o comunque introspettivo.

Il film racconta la storia di Otto e di Ana, due bambini che si conoscono a scuola, e che per una coincidenza instaurano un rapporto che va oltre il rapporto interpersonale, essendo più che altro un legame interiore-spirituale.
Altra coincidenza vuole che i loro genitori, Alvaro, il padre di Otto, e Olga, la madre di Ana, entrambi single seppur per motivi diversi (divorziato lui, vedova lei), si sposino tra di loro, rendendoli quindi i rispettivi figli fratelli acquisiti… e innamorati.

Gli amanti del Circolo Polare non è certamente il primo film che parla di una storia di amore tra due fratelli, che siano fratelli di sangue, fratellastri o fratelli acquisiti, ma senza dubbio è un film unico per il tono e il suo incedere.
Anche perché non commette affatto l’errore di concentrarsi su bigottismo o su sessualità, ma anzi indaga soprattutto l’aspetto esistenziale della vicenda, con il tema delle coincidenze a fare da padrone nel film.

Perlomeno, nella prima parte del film e nell’ultima, che peraltro ci presenta due finali diversi a seconda degli occhi di chi guarda: il punto di vista di Ana ci dice una cosa, mentre il punto di vista di Otto ce ne dice un’altra, assai diversa.

Tra l’altro, sia Ana che Otto sono due nomi palindromi, che si possono leggere allo stesso modo da una parte all’altra, proprio come il cognome del regista, Medem… e tale particolarità si aggiunge non solo a quella delle coincidenze e dei bambini-fratelli innamorati, ma anche al luogo che ospiterà la conclusione del loro rapporto: la Finlandia e il fenomeno del Sole di mezzanotte, quando il sole non tramonta per svariate decine di giorni di fila.

Tutte anomalie che rendono questo stesso film un’anomalia, che a tratti è di grande bellezza e ispirazione, che comincia peraltro con due bambini bellissimi, Otto e Ana da piccoli, e che va avanti prima con l’adolescenza e poi con la maturità (e qua il casting forse avrebbe potuto esser migliore, specialmente per l’Otto grande).

Prima parte del film bellissima, parte centrale di minor impatto, e parte finale ugualmente bella, ciò che rende Gli amanti del Circolo Polare un film meritevole di visione, particolare nella storia, nella fotografia e soprattutto nella sua energia interiore… nonché possibile fonte di ispirazione per chi è interessato alle tematiche dei segnali, delle coincidenze e dell’intuizione-sensazione interiore.

Chiudo con un paio di citazioni tratte dal film.

"La vita deve avere i suoi cicli: tutto nasce e muore."

"Le difficoltà della vita bisogna accettarle con un po' di buonumore, perché così come vengono se ne vanno. Non possono durare per sempre."

"Resterò qui per tutto il tempo che sarà necessario. Sto aspettando la coincidenza della mia vita, la più importante, anche se ne ho avute altre.
Potrei raccontare la mia vita come una serie di coincidenze."

Fosco Del Nero



Titolo: Gli amanti del Circolo Polare (Los amantes del Circulo Polar).
Genere: sentimentale, drammatico, surreale.
Regista: Julio Medem.
Attori: Nancho Novo, Najwa Nimri, Fele Martinez, Maru Valdivielso, Peru Medem, Sara Valiente, Beate Jensen.
Anno: 1998.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 27 novembre 2014

Don’t drink the water - Woody Allen

Don’t drink the water era uno dei pochissimi film di Woody Allen che non avevo ancora visto… e giacché c’ero ne ho approfittato per fare l’esperimento di vederlo in lingua originale, aiutato dai sottotitoli.

Ho fatto bene per ambo le cose: il film è divertente, e la lingua originale gli dà un brio e una vivacità che non so se aveva anche tradotto.

Comincio col dire che si tratta d una conversione filmica di una pièce teatrale scritta dallo stesso Woody Allen nel lontano 1966, divenuta film nel 1994 con protagonisti lo stesso Woody Allen, il mitico Michael J. Fox (indimenticato protagonista della serie di Ritorno al futuro) e Mayim Bialik (protagonista a sua volta della storica serie tv Blossom, nonché subentrata nella sitcom di successo The Big Bang Theory), più pochi altri attori di contorno.

Ecco in sintesi la trama del film: siamo nel 1961, e infuria la guerra fredda tra Usa e Urss. In un non precisato paese dell’Europa dell’est, presso cui erano in vacanza, gli americani Walter e Marion Hollander corrono a perdifiato dentro l’ambasciata statunitense, inseguiti dalla polizia sovietica che li riteneva delle spie… per colpa di un’imprudente fotografia al tramonto.
Insieme a loro, c’è anche la figlia Susan, con i tre che, costretti loro malgrado a una permanenza in Europa più lunga di quanto previsto, intesseranno delle interessanti relazioni interpersonali con il personale dell’ambasciata che li ospita.
Tra di essi, il giovane Axel Magee, figlio del capo dell’ambasciata, Padre Drobney, altra presunta spia, costretta a vivere lì da ben sei anni, e Mr. Kilroy, abile professionista della diplomazia.

Va da sé che, come in tutti i film di Woody Allen (almeno, fino al 2.000 e rotti, prima del cambio di rotta semidrammatico), comicità e umorismo si sprecano.

Anzi, forse per la natura teatrale del prodotto, i dialoghi, e quindi le gag verbali, sono ancora più frequenti del solito, rendendo il film particolarmente vivace. Forse, in effetti, Don’t drink the water è uno dei film più frizzanti di Woody Allen, caratterizzato peraltro da personaggi forse un po’ troppo macchiette, ma comunque ben riusciti.

L’unica cosa poco convincente è la relazione che si instaura tra Axel e Susan… ma in un contesto grottesco e surreale come quello proposto dal film probabilmente non è il caso di badare allo stretto realismo, godendosi il film per quel che è: 100 minuti di gag e umorismo a tutto spiano.

In conclusione, dunque, Don’t drink the water è un film che merita di essere visto, specialmente se siete già dei fan del regista americano.

Fosco Del Nero



Titolo: Don’t drink the water (Don’t drink the water).
Genere: commedia, comico.
Regista: Woody Allen.
Attori: Woody Allen, Michael J. Fox, Mayim Bialik, Julie Kavner, Ed Herlihy, Dom DeLuise, Edward Herrmann, Austin Pendleton, Josef Sommer, Robert Stanton, Rosemary Murphy.
Anno: 1994.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 26 novembre 2014

Il buio oltre la siepe - Robert Mulligan

La recensione di oggi è dedicata a un film piuttosto antico, per la precisione del 1962, che, sempre per la precisione, mi è stato consigliato da un mio lettore: Il buio oltre la siepe.

Non conoscevo né il film, né il libro da cui è stato tratto, né il regista, né gli attori principali, con la vaga eccezione di Gregory Peck, per cui partivo “in bianco”.

Genere del film: oscilla tra il drammatico e la commedia, propendendo per il primo fattore dati gli argomenti del film: violenza, razzismo, condanna, paura, morte.
Anche se, a dire il vero, il tutto assume delle fattezze talmente delicate che è difficile comunque percepirlo come film violento o minaccioso.

Ma andiamo in breve alla trama: siamo nel 1932 a Maycomb, un paesino del’Alabama: Atticus Finch è un avvocato che vive con i suoi due figli, Jeremy detto Jem (10 anni) e Jean Louise detta Scout (6 anni), mentre sua moglie è morta.
Mentre l’uomo si dedica al suo lavoro, e in particolare alla difesa d’ufficio di un nero accusato di violenza carnale nei confronti di una ragazza del paese, i due bambini, cui si unisce un altro bambino vicino di casa, sono alle prese con i loro giochi… e con le cose della vita che si scoprono man mano... non tutte piacevoli.

La trama de Il buio oltre la siepe è semplicissima, e anzi lineare, ma ciò che contraddistingue il film, e in positivo, è l’energia di fondo: dolce, positiva, piena di voglia di vivere, trasmessa in particolare dai due bambini, personaggi davvero belli (specialmente la piccola Scout, bellissima).

In effetti nel film non c’è nient’altro di notevole: la trama è semplice, la scenografia è semplice, pure i dialoghi sono essenzialmente semplici… però c’è qualcosa di bello nell’aria, ciò che rende il film di valore e meritevole di visione.

E difatti il film vinse al tempo numerosi premi, tra Oscar, Golden Globe e altri, e nel 1995 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, fatto dedicato a pellicole solitamente di ottimo livello.

Insomma, Il buio oltre la siepe, col suo bianco e nero e la sua storia dolce e delicata, è un film che vale assolutamente la pena di ripescare.

Fosco Del Nero



Titolo: Il buio oltre la siepe (To kill a mockingbird).
Genere: drammatico.
Regista: Robert Mulligan.
Attori: Gregory Peck, Phillip Alford, Mary Badham, Paul Fix, Frank Overton, Brock Peters, Robert Duvall.
Anno: 1962.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 20 novembre 2014

Il codice da Vinci - Ron Howard

Il film recensito questa volta è il famoso Il codice da Vinci, famoso a dire il vero più per il libro da cui è stato tratto che non per il film in sé.
Dico subito che non solo non ho mai letto il libro di Dan Brown, ma che non ne conoscevo minimamente la trama, per cui nel vedere il film non sono stato influenzato dal confronto col libro né dal conoscere già personaggi o trama.

L’unica cosa che mi era nota era l’argomento del film: ossia segreti, misteri, religione, cospirazioni e mistificazioni varie.
Così come mi era noto il genere: un thriller investigativo.

Ecco in sintesi la trama de Il codice da Vinci, diretto peraltro da quel Ron Howard (ossia il Ricky di Happy days), già regista di film di valore come A beautiful mind o Cocoon: l’anziano Jacques Saunière, curatore del Museo del Louvre di Parigi, viene trovato morto nel museo stesso, vittima di una pallottola ma soprattutto cosparso di segni e tagli, nonché circondato da scritte sul pavimento, cose che pare abbia fatto egli stesso nel tempo di vita rimanentegli.

A indagare sul caso, il Capitano Fache (Jean Reno; Subway, Wasabi, Sta’ zitto, non rompere), il quale coinvolge Robert Langdon (Tom Hanks; Cloud Atlas, La retata, Forrest Gump), scrittore statunitense in quel momento a Parigi per presentare il suo ultimo libro. Ai due si aggiunge subito Sophie Neveu (Audrey Tautou; Il favoloso mondo di Amelie, Una lunga domenica di passioni), crittografa consultata per il caso in questione…

… nonché nipote dell’assassinato, la quale, sapendo che Langdon è l’unico sospettato dell’omicidio, lo avverte in modo nascosto, cominciando con lui una vorticante fuga per Parigi e nel mondo, alla ricerca di indizi e risposte per il caso in questione, che coinvolge storia e fede, tra Chiesa cattolica, Priorato di Sion, cavalieri templari, Leonardo da Vinci e Isaac Newton, santo graal, Gesù e Maria Maddalena.
E ancora, tra sequenza di Fibonacci, simboli dei rosacroce e dei templari stessi, Gioconda e altri dipinti, croci varie, uomo vitruviano, etc.

Il film peraltro è stato centro di accese e feroci discussioni, come sempre quando c’è di mezzo la religione e in particolare la Chiesa cattolica, tra chi lo ha considerato blasfemo e chi viceversa lo ha salutato come ventata di verità.
Anche se, a dire il vero, la storia scritta da Dan Brown non ha mai avuto pretese storiche, dichiarandosi mero romanzo.

Pur con all’interno degli elementi in precedenza assai discussi da ricercatori vari, come il matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena, peraltro affermato da svariati vangeli e testi antichi.

Ciò che convince poco della trama, ma anche dell’incedere del film, è la commistione assolutamente globale e priva di discernimento, in cui si è fatto un grande calderone, mettendo dentro tutto ciò che aveva un vago alone di mistero, da Fibonacci a Leonardo da Vinci, passando per i templari (che certamente qualche mistero da custodire lo avevano).

A ciò si aggiunga, tornando al film, che la sceneggiatura convince poco (il ricercatore nemico del Priorato di Sion che riesce ad infiltrarsi in esso tanto da arrivare al suo vertice; due persone qualunque che riescono a sfuggire miracolosamente a tutto e a tutti, e sempre per un pelo; la grande facilità con cui vengono risolti all’istante enigmi che richiederebbero ben maggiore riflessione, e avanti così con continui capovolgimenti di fronte davvero poco realistici).

Senza contare che, personalmente, non ho mai apprezzato Tom Hanks, qua ancora meno brillante del solito; che Audrey Tautou, che ho amato come Amelie, è in fase decisamente calante; che non ho mai visto Jean Reno così rigido e monoblocco; e che uno degli attori più talentuosi del cast, Alfred Molina, ha un ruolo assolutamente marginale.
Per non parlare della figura del monaco masochista Silas, praticamente mutuata da Blade Runner, e pari pari, quasi a livello di sosia.

Nel complesso, Il codice da Vinci è un thriller sufficientemente interessante, in cui azione e dinamismo sono assicurati, ma niente di più: voto 5.5-6.

Fosco Del Nero



Titolo: Il codice da Vinci (The da Vinci’s code).
Genere: thriller, giallo, azione, storico.
Regista: Ron Howard.
Attori: Tom Hanks, Audrey Tautou, Jean Reno, Alfred Molina, Paul Bettany, Jurgen Prochnow, Ian McKellen, Francesco Carnelutti.
Anno: 2006.
Voto: 5.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 19 novembre 2014

Hollywood ending - Woody Allen

Oggi recensisco uno degli ultimi film di Woody Allen che mi sono rimasti da vedere della sua enorme filmografia: Hollywood ending, girato nel 2002, in un periodo particolarmente fecondo di film di qualità (La maledizione dello scorpione di giada, Anything else, lo stesso Hollywood ending), per quanto spesso non tanto apprezzati dal pubblico, particolarmente dal pubblico statunitense con cui Allen non ha mai avuto un grande feeling.
Il che, curiosamente (ma neanche troppo, conoscendo Allen) è proprio la trama di Hollywood ending, forse il film più autobiografico di Woody Allen.  

Abbiamo difatti un regista di talento, Val Waxman (lo stesso Woody Allen), il quale, dopo aver avuto un grande successo in passato, con tanto di conquista di Oscar, al momento è snobbato dai produttori, costretto ad accettare ingaggi come regista di spot pubblicitari.

Il problema di fondo: la fama di persona volubile ed emotiva, nonché pretenziosa, peraltro reduce dallo squilibrio di due matrimoni falliti… proprio come Woody Allen.
Accade però che la sua seconda moglie, Ellie (Tea Leoni; Amori e disastri, Spanglish), lo stimi ancora grandemente come professionista, nonostante ne ammetta i problemi psicologici, tanto che lo propone per una pellicola ambiziosa ambientata a New York, città che Hal conosce come le sue tasche (proprio come Allen che ci è nato).

Tuttavia Hal Jaeger, nuovo compagno di Ellie e direttore della casa produttrice del film, non è convinto della proposta, come peraltro anche altri personaggi coinvolti. Alla fine, comunque, il film andrà ad Hal, il quale troverà in esso anche una particina per la sua attuale compagna, Lori (Debra Messing; Will & Grace, Celebrity).

Hollywood ending propone il solito Woody Allen, o perlomeno il solito del passato, tutto vivacità e battute brillanti, ma in questo film c’è qualcosa di più: accanto ai problemi psicologici (insicurezze varie, nonché la trovata geniale della cecità psicosomatica proprio in avvio di riprese), c’è anche una visione più generale che sa di ispirazione, e che, conti alla mano, va a parlare di fiducia e di intuizione, di giudizio e di accettazione, di apprezzamento e di amore.

Certo, alcuni personaggi sono poco più che macchiette, e il comportamento di molti lascia intravedere semplice calcolo individuale (in pieno anticonformismo hollywoodiano, anch’esso tipico di Woody Allen), ma il conto generale è largamente positivo, e più ispirato di altri film di Allen, pur magari ugualmente divertenti.

Insomma, Hollywood ending va ad aggiungersi alla lista di film di Allen che mi sono piaciuti maggiormente, e lo fa con una nota di fondo un po’ particolare, che non presente negli altri film.

Fosco Del Nero



Titolo: Hollywood ending (Hollywood ending).
Genere: commedia, comico, sentimentale.
Regista: Woody Allen.
Attori: Woody Allen, Tea Leoni, Mark Rydell, Debra Messing, Tiffani-Amber Thiessen, George Hamilton, Treat Williams, Fred Melamed, Erica Leerhsen.
Anno: 2002.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 13 novembre 2014

Ishtar - Elaine May

Il film che recensisco quest’oggi è Ishtar, film ormai vetusto, diretto nel 1987 da Elaine May.

Non avevo mai sentito tale Elaine May, e proprio Ishtar è il motivo: il film, che in programma doveva essere un film di grandi incassi al cinema, costato la bellezza di 55 milioni di dollari, si rivelò un flop clamoroso al botteghino, con soli 14 dollari incassati, cosa che ha di fatto stroncato la carriera della regista statunitense, nata Elaine Berlin, che in precedenza aveva ottenuto un buon successo con È ricca, la sposo e l'ammazzo, in cui peraltro lei stessa era uno degli attori protagonisti.

Ma veniamo ad Ishtar, film che ho guardato esclusivamente per il titolo, giacché il nome di un’antica divinità babilonese mi sembrava un titolo un po’ curioso per un film di Hollywood.

La curiosità è cresciuta, devo dire, dopo i primi secondi di pellicola, quando ho visto che a produrre il film era la Columbia Pictures: l’ulteriore curiosità era dovuta al fatto che il simbolo della Columbia Pictures è una donna nella posizione della statua della libertà, la quale, per chi non lo sapesse, rappresenta proprio la dea Ishtar, chiamata anche Inanna oppure… Columbia.

Tra l’altro, sempre per curiosità, si tratta della dea conosciuta in Egitto come Iside, e che iconograficamente parlando ha generato poi la trasposizione dell’immagine in quella della Madonna, con l’analogo passaggio dal figlio Horus al figlio Gesù.

La statua della libertà peraltro è stata donata agli Usa e ai loro fondatori massoni dai loro colleghi francesi: fuprogettata dall’ingegnere Frédéric-Auguste Bartholdi, che difatti potete ammirare in qualche foto su internet nella classica posa massone della mano dentro il giubbotto, alla Napoleone; sempre per curiosità, fu amico di Garibaldi, e come sempre tutto torna... ma ora la smetto se no “rischio” di andare fuori tema!

Torniamo a Ishtar: mi aspettavo dunque un film con dei contenuti un po’ anomali, diciamo così, o perlomeno con qualche contenuto interessante, un po’ alla Hal Ashby, e in effetti qualche frasetta carina l’ho trovata. 
Ad esempio le due seguenti:

“La gente secondo me preferisce soffrire con quello che ha già piuttosto che affrontare l’ignoto.”

“La maggior parte degli uomini conduce vite di silenziosa disperazione.”

Oppure la canzoncina che i due protagonisti cantano a più riprese:
“Hallo Marocco, sei più di uno stato, sei anche uno stato mental.”

Al di là di queste piccolezze, invece, il film si è rivelato una commediola, che come detto non ha sfondato nonostante il grande budget e il cast di alto livello: i due protagonisti sono difatti Dustin Hoffman (Rayman, Mi presenti i tuoi?Tootsie, I heart huckabees - Le strane coincidenze della vita) e Warren Beatty (Shampoo, Dick Tracy), sex symbol degli anni 80, accompagnati da Isabelle Adjani (Nosferatu, il principe delle tenebre, Subway). 

Ecco in breve la trama di Isthar: due cantautori statunitensi Chuck Clarke e Lyle Rogers, non particolarmente talentuosi e pure con qualche problema psicologico, si trovano ad andare nella Repubblica di Ishtar, luogo inventato e teoricamente vicino al Marocco, per raggranellare qualche dollaro come cantanti negli alberghi occidentali.

Per qualche disavventura, conoscono Shirra, una giovane ribelle che vuole deporre l’emiro di Ishtar, città del luogo (non meglio precisato, e infatti è una città di fantasia). Tra i ribelli e la Cia, che li contatta anch’essa, inizia una sorta di commedia semi-demenziale, con i due che, del tutto ignari, cercano di cavarsela come possono…

Il film ha fatto fiasco al botteghino, ok, e certamente non è un “filmone”, però Ishtar fa, se non ridere, quantomeno sorridere, e spesso, tanto che l’ho preso in simpatia.
Inoltre è talmente surreale che non lo si può rendere sul serio, cosa che certamente ha contribuito al suo non successo, ma che a me non è dispiaciuta.

Se poi siete dei fan di Warren Beatty o di Dustin Hoffman, certamente vi farà piacere darci un’occhiata.

Fosco Del Nero



Titolo: Ishtar (Ishtar).
Genere: commedia.
Regista: Elaine May.
Attori: Warren Beatty, Dustin Hoffman, Isabelle Adjani, Charles Grodin, Jack Weston, Tess Harper.
Anno: 1987.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 12 novembre 2014

Il pianeta proibito - Fred McLeod Wilcox

La recensione odierna ci fa fare un salto indietro di quasi sessant’anni, visto che torniamo al 1956 e al film di fantascienza Il pianeta proibito, sorta di film culto del genere, che ha avuto molta influenza sui prodotti successivi, a cominciare dalla serie Star Trek, che in pratica ne ha ampliato lo schema di fondo.

La cosa curiosa è che Il pianeta proibito a sua volta si ispira a un’opera precedente, e nientemeno che a La tempesta, commedia teatrale di Shakespeare da cui il film diretto da Fred McLeod Wilcox ha ripreso alcuni personaggi e alcune dinamiche. 

Parlando del regista, si tratta del regista del famoso Torna a casa, Lassie!... un netto cambio di genere, quindi.
E, parlando di cambio di genere, che dire del protagonista del film, quel Leslie Nielsen poi divenuto famoso come attore comico-demenziale (Una pallottola spuntata, Scary movie 3, Dracula morto e contento, etc).

Ma andiamo alla trama sommaria del film: siamo nel 2200, e una nave spaziale, guidata dal comandante John Adams, è diretta al pianeta Altair 4 per indagare sulla scomparsa della spedizione del Bellerofonte, che era giunta sul pianeta in precedenza e di cui non si sono più avute notizie.

Ad attendere questa nuova spedizione, il Dottor Morbius, unico sopravvissuto, insieme alla moglie, a duna serie di misteriose violenze avvenute tanti anni prima sul pianeta. La moglie però poi è morta, lasciando sul pianeta il marito e la figlia nata nel mentre… oltre ad alcune misteriore presenze… e oltre al robot Robby, grande innovazione per l’epoca, e avente avuto talmente tanto successo che poi gli fu dedicato un film apposito.

Il pianeta proibito, in effetti, fu un film di innovazioni: l’idea di equipaggio che vaga nello spazio con comandante, medico, ufficiale di bordo, etc; la colonna sonora completamente elettronica; robot; effetti speciali; civiltà antiche.

Il genere del film, fantascienza a parte, oscilla tra il dramma (c’è gente che muore), la commedia (il tono generale è piuttosto lieve) e il sentimentale (l’inevitabile storia d’amore tra il comandante John Adams e la la bella Alta Morbius).

Certo, col senno di poi Il pianeta proibito non risulta certamente impressionante, ma comunque rimane un discreto film, piacevole da guardare e con qualche componente interessante, seppur molto semplicistico a tratti.

Fosco Del Nero



Titolo: Il pianeta proibito (Forbidden planet).
Genere: fantascienza.
Regista: Fred McLeod Wilcox.
Attori: Leslie Nielsen, Walter Pidgeon, Anne Francis, Warren Stevens, Jack Kelly, Earl Holliman, George Wallace, James Drury.
Anno: 1956.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 6 novembre 2014

Che fai, rubi? - Woody Allen, Senkichi Taniguchi

Che fai, rubi? è un film decisamente particolare, e anzi è un vero e proprio esperimento cinematografico in cui Woody Allen si è imbarcato nel lontano 1966, ossia agli inizia della sua carriera di regista.

Ecco in cosa consiste l’esperimento, che per quanto ne so non è mai stato ripetuto: è stato preso un film giapponese, tale Kokusai himitsu keisatsu: Kagi no kagi, ed è stato rimontato e doppiato in inglese, in modo da generare una sorta di parodia del genere spionaggio alla James Bond (genere che evidentemente non dispiaceva a Woody Allen, che in quegli anni partecipò a un film non troppo dissimile da questo come genere: l’ottimo Casino royale).

Parodia, quindi molto umoristica, e anzi siamo in pieno non-sense: si dica solo che la trama del film riguarda la lotta tra due bande criminali rivali per il possesso di una ricetta di insalata di uova. 
Quindi, il genere del film è comico-grottesco.

Ogni tanto peraltro nel film sono aggiunte scene con attori americani, soprattutto a sfondo musicale, e anzi ne approfitto per segnalare la vivacissima colonna sonora, molto rock. 

Inoltre, ogni tanto compare lo stesso Woody Allen, inserito qui e là sempre con lo scopo di aumentare la dose di comicità e di surrealtà.
Da sottolineare anche una certa dose di sensualità, per via delle belle e spesso svestite attrici giapponesi, cosa che peraltro si evince fin dalla sigla di apertura del film… oltre che in quella di chiusura, che propone una scena tanto sexy quanto divertente.

Al tempo l’esperimento ebbe un certo successo, anche se poi, come detto, Allen non lo ripropose più. 
Dal mio punto di vista, Che fai, rubi? non è malaccio: fa ridere in svariati punti per il fatto di essere completamente senza senso, e le espressioni originali degli attori spesso cozzano in modo simpaticissimo con il doppiaggio che è stato loro affibbiato in sede di rimontaggio.

Tuttavia, fatico a considerare Che fai, rubi? un film vero e proprio, visto che trama e personaggi praticamente sono assenti, e che tutto è campato per aria, col solo scopo di far sorridere lo spettatore delle numerose scene di non-sense.

Comunque, trattandosi di un esperimento così particolare e raro, senza dubbio vale la pena vederselo, specialmente se si apprezza l’umorismo di Woody Allen.

Fosco Del Nero



Titolo: Che fai, rubi? (What's up, Tiger Lily?).
Genere: comico, spionaggio.
Regista: Woody Allen, Senkichi Taniguchi.
Attori: Tatsuya Nihashi, Mie Hana, Akiko Wakabayashi, Tadao Nakamaru, Woody Allen.
Anno: 1966.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 5 novembre 2014

Il lato positivo - David O. Russell

Non mi ricordo perché mi ero segnato Il lato positivo, film girato nel 2012 da David O. Russell.
Forse proprio per via del regista, di cui avevo visto l’interessantissimo I heart huckabees - Le strane coincidenze della vita (e di cui mi vedrò prima o poi anche American hustle - L'apparenza inganna e Joy), o forse per la presenza in esso di Bradley Cooper, già apprezzato non solo nel blockbuster Una notte da leoni, ma anche nell’effervescente Limitless.
O forse per l’unione delle varie cose… come si dice: tre indizi fanno una prova.

E in effetti la hanno fatta, visto che Il lato positivo è un film di valore, che non a caso ha riscosso un ottimo successo di pubblico e di critica, con tanto di Oscar alla migliore attrice protagonista assegnato a Jennifer Lawrence, che in effetti buca letteralmente lo schermo (e che ho conosciuto proprio grazie a questo film, prima di vederla anche in Hunger games e Madre!).
A completare il trio, anche Robert De Niro (per lui cito Taxi driver e Re per una notte).

Ecco in sintesi la trama del film: Pat Solitano, giovane uomo, è appena uscito dall’ospedale psichiatrico, dove è stato per otto mesi. La sua idea fissa, una volta uscito, è rimettersi in forma e riconquistare sua moglie Nikki.
Che detto così suona abbastanza normale, ma le cose si complicano quando si viene a sapere che la causa dell’ospedale psichiatrico era stata un pestaggio violento da parte di lui all’amante di lei, sorpreso da Pat a casa loro.
A complicare le cose, c’è anche un divieto di avvicinamento, tanto che Pat cerca di comunicare con lei per il tramite di Tiffany, anch’essa personaggio piuttosto problematico, lei reduce dalla morte del marito.

Ma in realtà in questo film di “normale” non c’è nessuno: anche i genitori di Pat non sono del tutto equilibrati, per utilizzare un eufemismo; idem amici e vicini di casa.

Il tutto darebbe al film un’impronta drammatico-psicologica, se non fosse che per larghi tratti spunta fuori un tono da commedia, nonché alcune scene proprio comiche, che alleggeriscono il tutto, rendendo anzi impossibile considerare Il lato positivo un film drammatico vero e proprio.

Se in generale i film drammatico-melenso-psicologici non mi piacciono molto, devo dire che invece Il lato positivo mi ha letteralmente conquistato. In esso infatti c’è molta bellezza, pur se immersa in tanta difficoltà, e la coppia protagonista è letteralmente irresistibile (e non a caso si è riformata in altri film).
In particolare, meritano menzione il meraviglioso passaggio da attaccamento e rabbia a leggerezza e felicità, così come la testardaggine del protagonista nel cercare il lato positivo delle cose, da cui il titolo del film.
In effetti, varrebbe la pena di vedersi il film solo per l'insegnamento esistenziale dell'attaccamento-cecità a fronte dei suggerimenti-cose belle dell'esistenza.

In conclusione, dunque, non mi ha sorpreso l’ottimo successo de Il lato positivo, film che consiglio a mia volta e di cui ora propongo alcune frasi; i personaggi del film son tutti fuori di testa, ma ogni tanto vien messo loro in bocca qualche aforisma di pregio, e alla fine il messaggio passa.

"Tutto succede per un motivo: abbraccia il destino."

"Sai perdonare? Sei bravo in questo?"

"Il vero amore comporta il lasciar andare."

"Devi essere in pace con te stesso."

"Devi dar retta ai segnali: quando la vita ti manda un momento come questo, è un peccato se non lo afferri."

"Hai una grande sfida da affrontare; proprio adesso, in questo momento, proprio qui."

"Si può risalire da qualunque punto ci si trovi."

"Penso a tutto quello che gli altri hanno fatto per me e mi sento molto fortunato."

Fosco Del Nero



Titolo: Il lato positivo (Silver linings playbook).
Genere: drammatico, commedia, sentimentale, psicologico.
Regista: David O. Russell.
Attori: Bradley Cooper, Jennifer Lawrence, Robert De Niro, Jacki Weaver, Chris Tucker, Anupam Kher, Shea Whigham, Julia Stiles.
Anno: 2012.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

giovedì 30 ottobre 2014

Il padrone di casa - Rod Daniel

Dopo essermi visto Il padrone di casa, film diretto nel 1991 dallo sconosciuto Rod Daniel, mi sono chiesto come mai me lo ero segnato, giacché normalmente mi segno film di registi che mi hanno colpito il precedenza, oppure film con una trama molto interessante… e non è certo il caso de Il padrone di casa.
Poco dopo, ho capito il perché: omonimia.

Il film difatti portava lo stesso titolo di un precedente film di Hal Ashby, questi regista da me molto apprezzato (Oltre il giardino, Harold e Maude, Shampoo).
Vabbé, pazienza, è arrivato prima questo, e questo ora recensisco.

Il padrone di casa di Rod Daniel è una commediola senza pretese, che anzi ha decisamente un’essenza da film comico.
Il protagonista centrale, e quasi unico, è Joe Pesci, e gli fa da spalla Vincent Gardenia (evidentemente il film ha una vocazione italo-americana).

Ecco in sintesi la trama del film: Louie Kritski è il figlio di Big Lou Kritski, un noto e ricchissimo proprietario di immobili, che dà in affitto secondo una filosofia ben precisa: non si fa nessun lavoro di ammodernamento, e che gli inquilini si arrangino come possono.
Il padre ha trasmesso tale filosofia al figlio, al quale, peraltro già uomo fatto e cresciuto, viene ora regalato il suo primo immobile, per fare esperienza in prima persona e non più in seconda.

Si tratta di un immobile davvero malconcio, in praticamente ogni cosa: impianto elettrico, impianto idraulico, pulizia, etc.

Tanto che, dopo un po’, per via delle segnalazioni degli inquilini, nonché di una solerte avvocatessa, arriva la sentenza del tribunale: Louie dovrà vivere alcuni mesi nel suddetto immobile, in attesa che lo adegui agli standard di legge.

Ecco così che egli dovrà per forza avere a che fare non solo con squallore e sporcizia, ma anche con le beffe dei suoi affittuari, ora anche vicini di casa, peraltro tutte persone di colore, lui che invece è bianco bianco.

Da qui la commediola di stampo comico di cui ho accennato prima, resa tale non solo dalla storia e dai dialoghi, certamente non indimenticabili, ma in prima istanza dalle movenze di Joe Pesci, caricate fin quasi al ridicolo.

Il risultato finale è un filmetto senza alcuna pretesa, buono solo per passare un po’ di tempo per staccare la spina.
Per chi vuole staccarla, ovviamente.

Fosco Del Nero



Titolo: Il padrone di casa (The super).
Genere: comico.
Regista: Rod Daniel.
Attori: Joe Pesci, Vincent Gardenia, Ruben Blades, Madolyn Smith Osborne, Stacey Travis, Carole Shelley, Kenny Blank.
Anno: 1991.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 29 ottobre 2014

Alien 3 - David Fincher

Una volta che mi sono rivisto il primo Alien, il classico fanta-horror di Ridley Scott, mi sono visto anche i suoi seguiti, il già recensito Alien 2 e ora Alien 3… che peraltro mi sembra che non avessi mai visto…

… e avevo fatto bene, perché si tratta indubitabilmente del punto più basso della saga sull’alieno, la quale, curiosamente, ha prodotto film a distanza di parecchi anni (il primo nel 1979, il secondo nel 1986, il terzo nel 1992 e il quarto nel 1997, con l’indomita Sigourney Weaver sempre in forma).

E dire che stavolta in cabina di regia c’era quel David Fincher che avrebbe di lì a poco fatto meraviglie con Seven, The game - Nessuna regola, Fight Club, Panic room, ma anche Il curioso caso di Benjamin Button, The social network, e ancora altri film di buon successo. Tuttavia, ho letto online di molti problemi di produzione: diversi sceneggiatori, diversi allontanamenti, diverse incomprensioni, e lo stesso David Fincher non ha avuto la possibilità di effettuare il montaggio finale che voleva lui, tanto che a fine film ha praticamente rinnegato il lavoro.

Ma veniamo ad Alien 3: la storia riprende esattamente dal punto in cui si era concluso il precedente episodio, e ancora una volta Ripley è l’unica superstite: durante il viaggio di ritorno a casa, difatti, scampati all’ennesimo assalto alieno, i suoi tre compagni di viaggio muoiono per problemi alle loro cabine criogene… e la stessa Ripley si risveglierà con qualcosa di strano.
E, soprattutto, si risveglierà in un pianeta, Florina 161, il quale, siccome i pericoli dell’alieno non bastavano, si rivelerà un carcere di massima sicurezza per assassini e stupratori… che non vedevano una donna da anni e nel mentre, giusto per rendere la situazione ancora più complicata, si erano dati al fanatismo religioso.
Dunque, Ripley stavolta dovrà lottare contro alieni e uomini (nel primo film aveva dovuto lottare contro alieni e androidi; nel secondo contro alieni e compagnia; in questo terzo come detto contro alieni e uomini).

Il problema di questo film è essenzialmente la sceneggiatura carente, che difatti è passata per più mani e si è protratta nel tempo con cambiamenti vari.
Anche personaggi e dialoghi sono tutto sommato molto scialbi e stereotipati, e l’unica figura che si salva è proprio quella di Elle Ripley, questa volta in tenuta da soldato.

Come nel caso dei precedenti film, segnalo alcune frasi interessanti e curiose.
Come quella di uno dei detenuti, che vede un alieno e, mezzo sconvolto, inizia ad urlare: “È stato il drago! Lui divora i cervelli, e nessuno può fermarlo!”.

O come quando Ripley, dopo essersi accorta (smettete di leggere se non conoscete il film e volete vederlo a breve) di avere un alieno “cucciolo” dentro di sé, va alla ricerca del “grande” che infesta la base, e dopo averlo visto gli dice: “Non avere paura, faccio parte della famiglia”... e infatti a fine film lo "partorisce".

Stranezze a parte, Alien 3 è un film meno mediocre, che non merita di far parte della serie di Alien… e ora rivediamoci Alien 4 - La clonazione, diretto, questo, da quel geniaccio di Jean Pierre Jeunet, regista di alcuni film bellissimi, ma ben diversi dalla saga di Alien, come Il favoloso mondo di Amelie, Una lunga domenica di passioni, DelicatessenLa città dei bambini perduti... e che si è portato il suo Dominique Pinon persino in Alien: roba da non crederci se non l'avessi vista.

Fosco Del Nero



Titolo: Alien 3 (Alien 3).
Genere: horror, fantascienza.
Regista: David Fincher.
Attori: Sigourney Weaver, Charles Dance, Charles Dutton, Lance Henriksen, Paul McGann, Brian Glover, Philip Davis.
Anno: 1992.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

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