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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

mercoledì 28 ottobre 2015

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato - Mel Stuart

In passato avevo già visto Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, ma si trattava di un passato troppo passato, ossia prima che aprissi il blog Cinema e film, per cui la recensione di questo classico arriva solo ora.

Credo che la trama, ispirata peraltro a un libro di Road Dahl, sia ben nota, ma comunque la riporto in grande sintesi per coloro che non avessero mai sentito parlare del film (cosa improbabile, dato il recente e quasi omonimo remake La fabbrica di cioccolato, con Jonnhy Depp): la fabbrica di cioccolato di Willy Wonka (Gene Wilder, Frankenstein  Junior), situata in una piccola cittadina statunitense, è famosa in tutto il mondo, non solo per i suoi favolosi cioccolati, ma anche per essere riservatissima. Wonka, anni prima, stufo del continuo spionaggio industriale da parte dei suoi rivali cioccolatieri ansiosi di rubargli i segreti del mestiere, era arrivato a chiuderla, dopo aver licenziato tutti i dipendenti… salvo poi riaprirla tempo dopo, tornando a pieno regime e più industrioso che mai, pur nel mistero generale di chi lavorasse nella fabbrica.
Ecco perché la notizia per cui Wonka concederà l’ingresso nell'edificio a coloro che troveranno uno dei cinque tagliandi dorati inseriti nelle tavolette di cioccolata Wonka scatena una sorta di competizione mondiale a chi trovava uno dei suddetti tagliandi.

Charlie Bucket (Peter Ostrum), un bambino povero e con mezza famiglia sulle spalle (il padre è morto, la madre fa un lavoro umile, e i quattro nonni sono fermi a letto senza potersi muovere, tutte bocche a carico), desidera ardentemente trovare uno dei cinque fortunati biglietti, ma essendo povero non si può permettere che un paio di tavolette di cioccolata, mentre i suoi coetanei ne aprono a centinaia… 

Va da sé che, una volta dentro la fabbrica, i cinque fortunati possessori del biglietto dorato vedranno cose incredibili… anche se non sempre piacevoli per alcuni di loro.

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è un film di genere fantastico-surreale, anche se, a ben vedere, si tratta di una storia di formazione, non a caso tratta da un romanzo per l’infanzia (Dahl è un autore per l’infanzia, per l’appunto, che privilegia l'aspetto formativo attraverso situazioni ed eventi bizzarri), cosa piuttosto evidente nella ricchezza di insegnamenti del film… 

… che peraltro sono tali anche per gli adulti, a vedere ancora più da vicino.

La storia può essere difatti così riletta: da un lato abbiamo cioccolati, caramelle e dolci vari, cose da bambini insomma, così come da bambini (interiori) sono certi atteggiamenti di alcuni dei protagonisti: gola, avidità, arroganza, supponenza, mancanza di disciplina e contegno, etc, mentre dall’altro lato abbiamo valori come la generosità, le buone maniere, la semplicità d’animo, l’affidabilità.

Insomma, da un lato abbiamo questioni di ego, mentre dall’altro lato abbiamo la versione superiore dell’essere umano, se vogliamo dire così, rappresentata tanto dal piccolo Charlie, quanto dal grande Wonka, il quale, dal canto suo, rappresenta l’adulto (interiore) perfettamente formato: sereno, centrato, lucido, privo di ego (difatti non reagisce mai alle numerose provocazioni delle persone, e gliene giungono tante) e anche, si scopre infine, amorevole… decisamente più di quanto sembrasse alle persone egoiche, per la solita questione del principio speculare, per il quale esse vedevano lui come erano esse stesse (e sovente lo accusavano dei loro difetti). 
Infatti, alla fine Charlie e Wonka si abbracciano, mentre sono in cielo (cosa piuttosto metaforica); sarebbe curioso sapere se si tratti di simboli studiati o di “semplice” ispirazione.

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato ci racconta dunque una storia fantastica, ma al contempo ci parla di immaginazione e sogni, nonché di prove da superare e conseguenze: lo stesso Charlie è tentato dal tradimento, ma poi si rivela animo innocente, e quindi premiato con la fabbrica… e con l’elevazione di cui abbiamo detto.

Alcune frasi del film, peraltro, sono piuttosto chiare sui contenuti di tipo formativo-esistenziale-motivazionale della storia (cosa che comunque non sorprende, contando che da un lato il romanzo originario è stato scritto da Road Dahl, mentre la sceneggiatura del film è stata scritta da David Seltzer, autore di altre sceneggiature con contenuti un po’ particolari, come ad esempio Dragonfly - Il segno della libellula), per quanto sembrino spesso buttate lì un po’ a caso.

Eccone alcune:

“Ho le stesse probabilità delle altre persone, non ti pare?”
“Ne hai molte di più, perché tu lo desideri di più.”

“Charlie, la fortuna verrà anche da te: un giorno le cose cambieranno.”
“Quando? Quando cambieranno?”
“Probabilmente quando non te lo aspetti.”

“Avanti, Charlie. Non serve accigliarsi. Nel tuo cuore sai che il mondo è ancora il tuo giocattolo. Nei momenti difficili non mollare mai. Alzati e lotta.”

“Guarda su, vedrai una stella. Semplicemente seguila e tieni il tuo sogno ben in vista. Presto il cielo rischiarerà. Animo, Charlie, sii contento di ciò che sei.”

“Fare il giro del mondo e poi di nuovo a casa: ecco il destino di chi naviga.”

“Non si può uscire all'indietro: per farlo si deve andare avanti.”

“Non si dovrebbe dubitare di quello di cui nessuno è sicuro.”

“Se volete vedere il paradiso, vi basta guardarvi attorno. Qualunque cosa vogliate, fatela. Volete cambiare il mondo? Niente di più semplice.”

“Il tempo è una cosa molto preziosa: mai sprecarlo.”

“Una cosa bella è una gioia eterna.”

“Come si coltiva la fantasia, con il cuore o con la mente?”

“Noi siamo i creatori della musica, e noi siamo anche i creatori dei nostri sogni.”

“Abbiamo così tanto tempo, e così poco da fare.”

Quest’ultima frase, in particolare, pur se buttata lì in modo umoristico (e diverse volte…), descrive alla perfezione, per chi ha gli occhi per vedere, la condizione esistenziale dell’uomo.
Anche se, forse forse, la cosa più didattica del film sono i canti degli Umpa Lumpa (che vanno o capiti in inglese o ascoltati con i sottotitoli, e che peraltro sono memorabili come motivetto), i quali elicitano in modo piuttosto chiaro la questione dell’ego e delle sue conseguenze. In dettaglio, essi evidenziano che la disciplina, la buona educazione, le buone maniere, la cultura, l'assenza di avidità e di vizi conducono alla felicità: un concetto piuttosto semplice, in verità, ma poco popolare nei tempi contemporanei coscienzialmente deviati.

Nelle prime due frasi proposte, invece, vengono evidenziati alcuni principi attrattivi: il primo è che l'energia umana rende le cose più o meno probabili, al di là del dato statistico; il secondo è che il desiderio mette sì in moto le cose, ma se è troppo può divenire un ostacolo, laddove il lasciar andare, il "positivo distacco" agevola il fluire delle energie e degli eventi.
Il film pare veicolare il messaggio generativo/attrattivo anche quando afferma che "siamo i creatori dei nostri sogni”.

In conclusione, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato è un bel film, non solo in senso tecnico, ma anche come contenuti, ciò che poi è la cosa più importante.

Fosco Del Nero



Titolo: Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato (Willy Wonka & the chocolate factory).
Genere: fantastico, musicale, commedia.
Regista: Mel Stuart.
Attori: Gene Wilder, Peter Ostrum, Jack Albertson, Dodo Denney, Roy Kinnear, Julie Dawn Cole, Leonard Stone, Denise Nickerson, Nora Denney.
Anno: 1971.
Voto: 8.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 21 ottobre 2015

Il villaggio dei dannati - Wolf Rilla

Quest’oggi recensisco un vecchio film inglese, datato 1969, e che probabilmente costituiva uno dei primi esperimenti di tipo fantastico-orrorifico: Il villaggio dei dannati.

In realtà il film di horror nel senso moderno del termine non ha nulla: niente scene splatter, niente mostri, niente effetti sonori a volume altissimo utili a far sobbalzare lo spettatore sulla poltrona, etc. L’horror di quei tempi puntava più sull’atmosfera e sull’inquietudine interiore… certo, probabilmente anche per la carenza di mezzi tecnici, ma spesso la necessità acuisce l’ingegno, e spesso i risultati erano superiori a quelli di molte produzioni dozzinali odierne.

Ma torniamo a Il villaggio dei dannati: il film si base sul romanzo I figli dell'invasione, di John Wyndham, e dato il suo buon successo ha avuto un seguito, La stirpe dei dannati, e un remake, Villaggio dei dannati.
Titoli un po’ forti, peraltro, che sembrano alludere a contenuti parecchio spaventevoli, e che invece, stringi stringi, raccontano di diversità e di paura interiore (più psicologia che horror, in realtà, come accadeva per buona parte della fantascienza degli anni 50-60).

Ecco in grande sintesi la trama, tutto sommato semplice ma molto efficace: un giorno la cittadina di Midwich, in Inghilterra, viene come colta da un black out collettivo: tutti svengono, come morti. 
Qualcuno che abita nei dintorni non tarderà ad accorgersi della cosa, tanto che l’esercito, avendo persino identificato il punto in cui la gente sviene, delimita l’area perché non vi entri nessuno. 

Tuttavia, le persone, così come sono svenute, così si riprendono, tutte assieme, e il bizzarro incidente viene dimenticato… almeno fino a qualche settimana dopo, quando tutte le donne fertili del paese scoprono di essere incinte… persino le fanciulle che “non hanno conosciuto uomo”, per dare le parole a una ragazzina che, di fronte al suo medico, non si capacita della cosa, non trovando appunto le parole.

Tra le donne in attesa, c’è anche Anthea, moglie di Gordon Zellaby, uno scienziato locale che, in accordo con i vertici dell’esercito, si occupa dei bambini una volta nati: essi si dimostrano tutti estremamente precoci nello sviluppo fisico, e inoltre estremamente intelligenti, ma soprattutto, ciò che comincia a divenire inquietante, estremamente somiglianti tra di loro con quei loro capelli biondo-bianco-albini, ed estremamente freddi e calcolatori.

Anzi, sembrano persino avere dei poteri particolari, tanto da mettere in allarme adulti e governo… anche perché si scopre che la medesima cosa è avvenuta in altre parti del mondo, e sempre con risultati violenti.

Il villaggio dei dannati ha fascino, non lo si può negare; un po’ per i tempi che furono, un po’ per il nettissimo e pulitissimo bianco e nero, un po’ per la trama accattivante, benché sostanzialmente semplice.

E proprio la semplicità è forse l’unica nota dolente del film, a cui forse sarebbe giovata una lunghezza eccessiva e una maggiore descrizione degli eventi, che invece vanno avanti in modo un po’ facilone e poco realistico.

Il fascino rimane comunque, tanto che probabilmente mi vedrò anche il seguito La stirpe dei dannati, di qualche anno successivo.

Fosco Del Nero



Titolo: Il villaggio dei dannati (The village of the damned).
Genere: fantastico, thriller, drammatico.
Regista: Wolf Rilla.
Attori: George Sanders, Barbara Shelley, Michael Gwinne, Michael Gwynn, Laurence Naismith, John Phillips, Richard Vernon, Jenny Laird, Richard Warner, Thomas Heathcote.
Anno: 1969.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 14 ottobre 2015

Another Earth - Mike Cahill

Da poco ho visto il film I origins, che mi aveva consiglio un mio lettore, e che mi era piaciuto, tanto che avevo deciso di cercarmi anche il precedente film del regista Mike Cahill, ossia Another Earth.

Tra i due vi sono delle forti somiglianze, sia riguardo il genere, sia riguardo lo stile registico, ma anche perché la protagonista è la stessa, Brit Marling, che peraltro è anche co-sceneggiatrice e co-produttrice del film recensito oggi.

Partiamo subito con la trama sommaria di Another Earth: in un prossimo futuro non precisato viene scoperto un pianeta del tutto simile alla Terra, tanto simile che esso viene chiamato Terra 2, e tanto vicino che si vedrà grande nel cielo, affiancato dalla Luna 2.
Proprio Terra 2 influirà grandemente nella vita della protagonista della storia Rhoda Williams (Brit Marling), una studentessa universitaria, e precisamente in due frangenti.
Nel primo essa, tornando a casa in macchina da una festa, guarda dal finestrino per cercare di scorgere il nuovo pianeta nel cielo notturno, causando così un incidente mortale, in cui moriranno una donna e suo figlio, mentre il marito, John Burroughs (William Mapother; già visto in Lost), entrerà in coma ma poi si risveglierà.
Il secondo frangente riguarda una sorta di concorso per essere spediti proprio su Terra 2, che nel frattempo si è scoperto essere una sorta di…

Another Earth è un film piuttosto strano. Intanto, si vede la sua realizzazione low budget, anche se la buona idea sullo sfondo e la realizzazione semplice ma curata affievoliscono fortemente la sensazione di trovarsi di fronte a un prodotto non troppo ricco…
… che non è ricco fuori, ma lo è dentro, muovendosi tra fantascienza, dramma umano, psicologia e amore.

Anzi, a dirla tutta Another Earth è l’esempio di come si possa ottenere un buon prodotto pur senza spendere una barca di soldi, e non a caso il film ha ricevuto svariati riconoscimenti, avviando di fatto la carriera di regista di Mike Cahill, nonché quella di attrice di Brit Marling.

Detto dell’originalità dell’idea di fondo, nonché del potenziale quasi infinito da essa consentito, e per forza esplorato solo in una piccola parte (sia come trama, sia come concetti filosofico-esistenziali), e anche della buona prova dei due attori principali (quasi gli unici, a dire il vero), ora dico cosa non ho gradito troppo: intanto la scelta registica di portare la telecamera quasi sempre in spalla a volte paga e a volte no, tanto che in talune circostanze sembra di trovarsi di fronte a veri e propri errori di regia; in secondo luogo, il film è spesso silente, nelle parole e nella musica di sottofondo, certamente a voler sottolineare i processi interiori dei protagonisti, ma spesso esagerando e rischiando non la noia ma comunque un po’ di astenia; infine, se la Marling è gelida e algida al punto giusto per i film colti e intellettuali di Cahill, anche qui c’è un rischio, ed è quello di un’eccessiva freddezza, che infatti ogni tanto fa capolino qui e lì.

Comunque, sono cose secondarie, e nel complesso Another Earth è un buon film, e la coppia Cahill-Marling (che non a caso era coppia anche fuori dal set) funziona.

Fosco Del Nero



Titolo: Another Earth (Another Earth).
Genere: fantascienza, drammatico, psicologico, sentimentale.
Regista: Mike Cahill.
Attori: Brit Marling, William Mapother, Kumar Pallana, Jordan Baker, Flint Beverage, Robin Taylor,Joseph A. Bove, Natalie Carter, Diane Ciesla.
Anno: 2011.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 7 ottobre 2015

James e la pesca gigante - Henry Selick

In quest’ultimo periodo mi sono guardato un po’ di film d’animazione, tra Si alza il vento e Principessa Mononoke di Miyazaki, Frankenweenie di Tim Burton, L’ultimo unicorno del duo Jules Bass-Arthur Rankin Jr. e Paranorman dell’altro due Chris Butler-Sam Fell.

Il successivo è stato James e la pesca gigante, diretto da Henry Selick, il regista del capolavoro Nightmare before Christmas, peraltro scritto e prodotto dallo stesso Tim Burton, o del quasi altrettanto bello Coraline e la porta magica (nel senso che Nightmare è quasi impareggiabile, ma Coraline ci si avvicina).

Il pedigree di James e la pesca gigante è ulteriormente aumentato dal fatto di essere tratto da un libro di Roald Dahl, il celebre autore per l’infanzia, dai cui libri sono stati estratti altri film, come Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, Fantastic Mr. Fox o Il mio amico gigante.

Quanto al film, è realizzato con la tecnica dello stop motion, la stessa utilizzata dalla combriccola di Tim Burton, Sam Fell, e dello stesso Henry Selick, vero e proprio marchio di fabbrica.

Tra l’altro, si tratta di una storia cui è stato accostato il primo libro di Harry Potter, ossia Harry Potter e la pietra filosofale, che ne avrebbe preso alcuni elementi di fondo: il bambino protagonista che è rimasto orfano dei bravi genitori e che è finito da perfidi zii (zie in questo caso), e che viene a contatto con la magia… anche se poi le somiglianze si fermano qui… beh, a parte il cognome del bambino, giacché Potter e Trotter si somigliano abbastanza.

Ma vediamo più da vicino la trama di James e la pesca gigante: James Henry Trotter vive felicemente coni genitori, i quali però a un certo punto muoiono, uccisi da un misterioso rinoceronte azzurro gigante. Il piccolo finisce allora da due sue zie, Stecco e Spugna, che lo trattano come un servo, costringendolo ai lavori più umili e pesanti.
Fino a che, un bel giorno, il bambino incontra un signore strano, che gli consegna una scatola piena di “lingue di coccodrillo magiche”, che in qualche modo imprevisto gli cambieranno la vita.
Dapprima generando una pesca gigante nel giardino della casa delle zie (anche se chiamarlo giardino è esagerato, visto il grigio e lo squallore circostante), e poi trasformando lo stesso James in un cartone animato-stop motion, grande tanto quanto dei piccoli animali, che infatti conosce presto: un ragno, una cavalletta, un millepiedi, un verme, una lucciola e una coccinella.
I sette diventano subito amici per la pelle, e progettano di arrivare a New York, città dei sogni di James, utilizzando proprio la pesca gigante come mezzo di trasporto.

Il genere è evidentemente un fantasy-fantastico, e particolarmente orientato all’infanzia, tanto che l’elemento della commedia è prevalente, unitamente anche a una componente musicale…

… tuttavia, James e la pesca gigante non coglie nel segno: le canzoni non sono memorabili, la storia è sì fantasiosa, ma molto leggerina, i personaggi principali non impressionano, e i dialoghi neppure. Quanto all’aspetto visivo, è a tratti piacevole, ma in altre circostanze poco convincente, specie nel passaggio tra recitazione reale e stop motion, e viceversa.
E dire che il film segue di tre anni il ben più bello Nightmare before Christmas, sul quale avrebbe dovuto dunque avere un certo vantaggio tecnologico.
Ma a dire il vero sembra più vecchio, e come detto la trama non coinvolge mai, e anzi ogni tanto annoia anche. 

Insomma, se le premesse erano buone, anzi ottime, il risultato finale è stato mediocre. Peccato.

Fosco Del Nero



Titolo: James e la pesca gigante (James and the giant peach).
Genere: animazione, fantastico, fantasy, commedia, musicale.
Regista: Henry Selick.
Anno: 1996.
Voto: 5.
Dove lo trovi: qui.

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