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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

martedì 1 novembre 2016

The box - Richard Kelly

Nel momento in cui ho iniziato a vedere The box, film del 2009, ero già sicuro in partenza, pur senza aver letto niente del film (non sapevo nemmeno la trama), che avrei affrontato tematiche esoteriche, dal momento che il regista del film era Richard Kelly, il regista dell’esotericissimo Donnie Darko.

Esoterico e assai oscuro, come suggerisce lo stesso nome, tanto da far pensare a qualcuno addentro al sistema di manipolazione di massa… o al contrario a qualcuno che lo sta denunciando, seppure in modo non diretto (anche se sarebbe una denuncia ben strana, che coglierebbero solo le persone che già sanno).

A ogni modo, i miei facili pronostici sono stati rispettati in pieno, e anzi persino più di quanto mi aspettassi.

Intanto, diciamo subito che The box riprende l’elemento centrale di Donnie Darko, ossia il controllo mentale, e anzi lo ripropone su larga scala, in uno scenario in cui tante persone sono vittime inconsapevoli del controllo mentale da parte di un gruppo segreto e potentissimo, che regola i destini degli individui.

Ma andiamo con ordine, e partiamo dalle basi.
Per prima cosa, citiamo il fatto che il film è tratto dal racconto Button, button (1970) di Richard Matheson (scrittore famoso per le tematiche orrorifiche: da Io sono leggenda, in cui si parla di vampiri, a La casa d’inferno, in cui si parla di presenze, possessioni e riti satanici), il quale a sua volta è stato tratto dal racconto fantastico Il mandarino, scritto nel 1880 da tale José Maria Eça de Queiroz (e questo non lo conosco).
Va precisato comunque che è stato preso spunto dal suddetto racconto, il quale poi è stato ampliato e largamente modificato da Richard Kelly in sede di realizzazione del film: l'opera dunque è essenzialmente sua.

Come seconda cosa, vediamo la trama per sommi capi: Norma (una Cameron Diaz che sta invecchiando non tropo bene; Tutti pazzi per Mary, The mask, Vanilla sky, Notte brava a Las Vegas, Essere John Malkovich) e Arthur Lewis (James Marsden, protagonista dell’indimenticabile Interstate 60, oltre che nei vari X-Men) sono una giovane coppia con un figlio, e costituiscono un po’ l’emblema dell’ambiziosa famiglia americana degli anni “70 (siamo nel 1976): belli, socievoli, con due carriere già avviate.
Sfortunatamente, però, in pochi giorni ricevono entrambi una brutta notizia sul fronte lavoro: lui non è stato accettato nel programma spaziale che gli avrebbe dato soldi e prospettive importanti, mentre lei vede annullata la borsa di studio del figlio data ai figli dell’insegnanti della scuola in cui lavora. 
Manco a farlo apposta (e infatti è fatto apposta), ricevono proprio in quei giorni una strana proposta, strana e allettante: un tipo misterioso, tale Arlington Steward (Frank Langella; La nona portaFrost/Nixon - Il duelloDiario di una casalinga inquieta), a cui manca parte della faccia per qualche incidente passato, consegna loro una misteriosa scatola con un bottone. Se premeranno il bottone, riceveranno un milione di dollari in contanti, ma una persona morirà come conseguenza della loro scelta. Se non lo premeranno, nulla di fatto.
I due sono ovviamente confusi: da un lato faticano a credere alla proposta, dall’altro lato si pongono scrupoli morali… ovviamente nel caso che essa sia veritiera. Alla fine Norma preme il pulsante, dando avvio al tutto.

Il tutto consiste nel dover affrontare una sorta di società segreta con tanti “dipendenti”, come li chiama il signor Steward, che fa capo invece a certi ignoti “datori di lavoro”, sempre per usare i termini dell’uomo dalla faccia ustionata, con gli esiti della stessa che, metaforicamente, mostrano la debolezza dell’uomo comune verso i poteri più forti di lui.

Faccio subito un elenco delle tematiche presenti nel film a scanso di equivoci: la morale alla base, il controllo delle masse, i poteri occulti, il trittico scienza-energia-magia (tre parole più imparentate di quanto non sembrerebbe a un occhio miope), il percorso evolutivo delle persone e dell’umanità nel suo insieme, gli alieni-dei-arconti (altre tre parole più ravvicinate di quanto non creda l’uomo ordinario… che sovente non le ce conosce nemmeno tutte e tre).

Vediamo i vari argomenti uno per uno (ma in modo il più possibile sintetico, e poi ognuno valuterà per conto suo).

Il tema più evidente nel film è il controllo mentale, proprio come era stato per Donnie Darko, e anzi qua in modo più massiccio e onnipervasivo.
Non solo Arlington Steward ha tanti “dipendenti”, e tanti da far sembrare la cosa davvero inquietante, ma i mezzi di comunicazione di massa sono praticamente onnipresenti: se non c’è la televisione, c’è la radio, quasi sempre accese… e se non ci sono loro, ci sono di mezzo polizia, governo o “man in black”.
A fine film diventa evidente peraltro che il governo sapeva benissimo dell’esistenza di tali uomini in nero, e quindi della questione dell’élite nascosta, la quale fa capo a entità non umane, ma è praticamente connivente semplicemente a causa del loro grande potere. In pratica, le lascia fare non potendo fare altro.

Da qui si passa al secondo tema di fondo: i riferimenti alla massoneria e al cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale (o qualcosa di molto simile).
Abbiamo in primo luogo una fortissima società segreta, con tanti dipendenti al suo servizio, infiltrata praticamente ovunque, e con una gestualità tipica. Tale gestualità peraltro richiama al contempo la lettera V e il numero 2: nel primo caso, sembra quasi una ripresa del simbolo dei Visitors (ancora l’elemento alieno e cospirativo... ripreso peraltro in epoca recente per la nota campagna legata al siero sperimentale); nel secondo è evidente, non solo in esso ma in tanti altri elementi, il riferimento al principio duale e alle due colonne massoniche Yakin e Boaz. Nel film spesso i protagonisti passano tra due elementi duali, quasi a simboleggiare un passaggio iniziatico: due colonne, due vasi di fiori, etc, e talmente tanto spesso da non lasciare adito a dubbi.
A proposito di due colonne, abbiamo anche un’immagine delle Torri Gemelle (potevano mancare anche loro e il loro “sacrificio” da parte dell’élite occulta?), nonché un pavimento a scacchi massonico (anch'esso non poteva assolutamente mancare).
Infine, pure l’elemento del sangue viene spesso richiamato.

Passiamo ora a un altro tema del film: gli alieni-dei-datori di lavoro.
Abbiamo detto del ricorrente simbolo della V, sia fatta con le mani sia disegnata e iscritta nel cerchio-Sole. Da subito comunque si ha la sensazione che Steward lavori per persone molto più altolocate di lui, sorta di semidivinità, o comunque entità molto più avanzate dell’essere umano.
Lo stesso nome “Steward” peraltro, indica un semplice addetto, una sorta di uomo esegui-ordini, come lui stesso dice di sé parlando dei suoi “datori di lavoro”. E dice anche che se nel caso gli succedesse qualcosa, semplicemente lui sarebbe rimpiazzato e la cosa proseguirebbe inalterata. Inoltre nel film spesso si accenna (anche tramite tv o radio perennemente accese) a una vita extra-umana: il presidente statunitense Ford in televisione parla de “La presenza della vita in altre parti dell’universo”, lo speaker alla radio parla dei “Segreti dell’universo”, etc.
L’hotel dove Steward e i suoi “dipendenti” hanno una sorta di quartier generale è l’Hotel Galaxy, che ovviamente richiama il cosmo sia nel nome sia nel suo simbolo (ricordatevi sempre che gli Illuminati e i loro “dipendenti” sono citazionisti per eccellenza e riempiono di riferimenti tutto ciò che producono).
Ancora, la moglie di Steward si chiama Climene, e peraltro si presenta con una posa altamente simbolica: se Steward è un semidio esecutore degli dei, lei è dunque una semidea… e infatti Climene è il nome di semidivinità greca.
In generale nel film vi sono svariati accenni alla mitologia e alla magia, e tutto lascia intendere che i cosiddetti “padroni di lavoro” siano entità sovraumane, che le si voglia chiamare dei o arconti o in altro modo.
Tutto ciò, peraltro, in un film che si apre con notizie (ancora la tv che parla…) relative alla ricerca di vita al di fuori del pianeta Terra… col film che risponde a tale annoso dilemma a suo modo.

Altro tema: l’evoluzione umana nell’esistenza, dalla caduta, passando per le scelte nel “luogo di mezzo” fino all’illuminazione.
La caduta dei novelli Adamo ed Eva si ha nel momento in cui essi premono il pulsante… e anche qui è “Eva” a prendere l’iniziativa.
Il dualismo delle energie maschile e femminile viene messo in risalto in vari altri momenti, come nella visione affiancata di un simbolo del Sole e di un simbolo della Luna.
Oltre all’elemento della dualità, spesso è messo in evidenza anche l’elemento triadico: per esempio nella composizione della famiglia Lewis (padre, madre, figlio), o nei tre portali, riferimento evidente alla triade-trinità (che ovviamente non è la trinità cattolica, ma il principio trinitario universale, presente in svariate tradizioni religiose, spirituali ed esoteriche).
Altro numero citato, seppur in modo poco visibile: il dodici, altro numero esoterico per eccellenza, afferente agli apprendimenti esistenziali.

Assai evidente anche l’elemento ciclico, praticamente da ruota del karma: coloro che hanno compiuto certe scelte dovranno inevitabilmente affrontarne le conseguenze, come l’esecutore-insegnante Steward evidenzia a più riprese.

A un certo punto della storia Norma e Arthur (Artù? Ricerca del Sacro Graal e dell'immortalità?) si rendono conto di essere nel bel mezzo di una prova. Steward dice: “È un posto che non è né qui né là: è un posto che sta in mezzo”.
Arthur riassume, seppur in modo un po’ infantile: “Questo è il purgatorio, vero?”. Aggiungendo poi: “E lei viene a chiudere il conti”, quasi avesse a che fare con una sorta di angelo del giudizio (e non andando troppo lontano dalla verità).
Notate che il “luogo di mezzo” nello gnosticismo era il luogo di purificazione in preparazione dell’ascesa, a proposito di dei-arconti.

A testimoniare ancora che si sta parlando di questo, Steward racconta di sé di essere stato colpito da un fulmine, e che dopo l’evento è “entrato in comunicazione con coloro che mandano i fulmini”: notate che in inglese fulmine si dice “lightning”, mentre luce è “light” e illuminazione è “lighting”, e Arthur trova un libro intitolato “Book of lightning”. Insomma, si sta parlando, e piuttosto apertamente, di luce, di caduta della luce e di riascesa della luce: non per niente, Steward ha perso mezza faccia, quindi simbolicamente mezzo ego, e dunque non è più un essere umano normale, come peraltro appare evidente, dalle sue energie molto equilibrate e centrate, sin dall'inizio della storia.

A proposito di riascesa, i due sposi finiscono nello stesso momento, ma separatamente, in una libreria a cercare informazioni utili a svelare i misteri che li circondano: libreria come fonte di sapere-conoscenza-gnosi. Tra l’altro qui Arthur viene come iniziato dalla moglie di Arlington, Climene.
Il protagonista poi subisce una sorta di battesimo-nuova nascita: entrato in un portale acquoso, dopo si ritrova sopra il letto di casa sua dentro un parallelepipedo di acqua, che all’improvviso si “rompe”: si “rompono le acque”, dunque, e lui dopo la prova iniziatica (doveva scegliere la via giusta tra le tre propostegli) rinasce.
Ma l’iniziazione richiede un prezzo-sacrificio: Arthur sacrifica la sua vita (in un senso) e quella di sua moglie (in un altro). Rinasce simbolicamente, e sembra avviato a divenire “uno di loro”, giacché a fine film è portato via non dalla polizia, ma proprio dai “men in black” (e suo figlio è preso in cura dall’élite nascosta, che come sempre si interessa assai da vicino alle nuove generazioni per "formarle").

A confermare ulteriormente che si sta parlando di illuminazione, ecco alcune espressioni e frasi che si sentono nel film:

“Via della salvezza.”

“Ascolta la tua coscienza.”

“Guarda dentro la luce.”

“Camminate dritti verso la luce. Non vi voltate indietro per nessun motivo.”

“Soltanto una persona può salvarti. Guarda nello specchio: la vedrai.”

Veniamo agli ultimi temi del film… fortunatamente, giacché la recensione sta diventando parecchio lunga. Abbiamo alcuni riferimenti a Jean Paul Sartre.
Per esempio abbiamo la rappresentazione teatrale della sua opera No exit, in cui vi sono dei personaggi apparentemente rinchiusi come prigionieri in una stanza, i quali solo dopo scoprono che la porta era sempre stata aperta e avrebbero potuto andarsene in qualunque momento. Ciò che è un simbolo perfetto dell’esistenza umana. Perfetto a dir poco. Tra l’altro la scritta “no exit” appare tracciata sulla neve del parabrezza della macchina dei Lewis, a riprova che non è una cosa buttata lì (niente lo è con certi registi), ma un messaggio importante. 
Viene poi citata una stessa frase di Sartre, anch’essa davvero simbolica: “Ci sono due modi per fare il nostro ingresso nell'ultima stanza: liberi o non liberi” (ovviamente ci si riferisce alla libertà spirituale, quella interiore, e non a quella esteriore, che ha un valore assai minore).
Di Sartre si dica, al volo, che è stato un intellettuale internazionalista vicino a personaggi tipici da Nuovo Ordine Mondiale-Illuminati, come i suoi due “colleghi” Albert Camus e Bertrand Russell. Insomma, era probabilmente qualcuno che sapeva.
E non solo Sartre: come Donnie Darko citava Henry Graham Greene, anche lui totalmente addentro al sistema, così The box cita Jean Paul Sartre e Arthur Clarke, casualmente il primo vicino a certi ambienti e il secondo pure (massone, tra l’altro, come tanti autori di fantascienza di quel periodo, come anche Bertrand Russell).
Ecco la citazione di Arthur Clark, peraltro abbinata a un’immagine che è tutto un programma: “Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”.
Ciò pare una critica velata alla scienza, o comunque a quella mentalità da scienziato ottuso non in grado di distinguere le cose dell’esistenza nei suoi ristretti parametri visivi, e non capace di distinguere tra se stessa e la magia.
Notate che il protagonista della storia, anche lui di nome Arthur, è uno scienziato, dall’aria molto razionale, che vive in un mondo di certezze e di sicurezza, il cui figlio bambino già non crede più a Babbo Natale… quel Babbo Natale che comparirà in mezzo alla strada generando un incidente e gli eventi successivi.

Parlando di Babbo Natale, vediamo ora alcuni riferimenti a Donnie Darko.
In Donnie Darko abbiamo la scena di Nonna Morte in mezzo alla strada che causa un incidente automobilistico, mentre stavolta in mezzo alla strada in stato catatonico c’è un tipo vestito da Babbo Natale... che ugualmente provoca un incidente. Babbo Natale dunque non esiste ma comunque crea conseguenze… proprio come la “magia”, e proprio come i “poteri occulti”: anche loro non esistono per l’uomo miope scientista, ma comunque hanno un forte impatto sull’esistenza, fortissimo a dire il vero, giacché decidono della vita, della morte e dei percorsi esistenziali.
Curiosità: Frank, l'uomo che in Donnie Darko indossa il costume da coniglio, è sfregiato a un occhio, come Steward è fregiato sul viso (questioni di ego? Una punizione? Un sacrificio?). Da citare anche la presenza in The box del padre di Donnie, come a certificare una "parentela".
Comunque, a dire il vero più che Donnie Darko, The box ricorda Eyes wide shut (soprattutto nella coppia di marito e moglie ignari che affrontano qualcosa molto più grande di loro), e difatti sembra in esso esservi qualche omaggio-riferimento a Stanley Kubrick… che come noto è morto in modo improvviso e sospetto proprio mentre terminava il suo film di denuncia contro le logge massoniche e i centri nascosti di potere e controllo.

In conclusione, ecco le tre chiavi di lettura del film, in ordine di “semplicità e visibilità”:
1. La più semplice e alla portata di tutti, quella dell’uomo ordinario: l’elemento morale.
2. Quella intermedia, dell’uomo complottista: l’élite che controlla tutto.
3. Quella più sottile, per l’uomo più sveglio e avveduto: il progresso spirituale della razza umana e gli accenni gnostico-evolutivi.
Esse non sono alternative, ma compresenti, e il livello di conoscenza e consapevolezza dello spettatore determinerà cosa vedrà.

Chiudo con altre tre citazioni tratte dal film che riassumono abbastanza bene i suoi contenuti esistenziali: da quello morale a quello interiore e simbolico.

“Se gli esseri umani non sono capaci o disposti a sacrificare i desideri individuali per il bene superiore della specie, non potrete sopravvivere, e i miei datori di lavoro saranno obbligati ad accelerare la vostra estinzione.”

“Vi sta mettendo alla prova.
Sta mettendo alla prova tutti noi.”

“Se mi è permesso chiederlo, perché una scatola?”
“La sua casa è una scatola. Una scatola con le ruote è la sua macchina: lì dentro va al lavoro, lì dentro torna a casa. Dentro casa sta seduto per ore a fissare una scatola che gli erode l’anima, mentre la scatola che è il suo corpo avvizzisce e poi muore. Dopo di che viene deposto nella scatola definitiva, dove lentamente si decompone.”
“È francamente deprimente, se la mettiamo in questo modo.”
“Lei non la mette in questo modo? Lo consideri uno stato temporaneo dell’essere.” 

Fosco Del Nero



Titolo: The box (The box).
Genere: drammatico, fantastico, esistenziale.
Regista: Richard Kelly.
Attori: Cameron Diaz, James Marsden, Frank Langella, James Rebhorn, Holmes Osborne, Sam Oz Stone, Gillian Jacobs, Michael Zegen, Celia Weston.
Anno: 2009.
Voto: 7.5.
Dove lo trovi: qui.

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