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Nella vita bisogna avere il coraggio di volare.

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L'unico posto in cui puoi trovare la forza è dentro di te.

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Ogni tanto ricordati di amare qualcuno.

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Se vuoi che il mondo cambi, inizia a darti da fare tu stesso.

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Sai ancora sorprenderti dell'esistenza?

Corso di esistenza

martedì 25 aprile 2017

L’illusionista - Sylvain Chomet

Il film recensito quest’oggi su Cinema e film è L’illusionista, un film d’animazione del 2010.

Da sempre sono un grande appassionato di film d’animazione, e anzi vi dirò in confidenza che, essendo l'animazione per definizione più libera da vincoli e più capace di dar sfogo a idee e creatività, la ritengo la cartina di tornasole dello stato di salute del cinema e di un intero popolo a livello di innovazione, fantasia e inventiva.

Devo dire che purtroppo il cinema italiano è parecchio scarso dal punto di vista dell'animazione… infatti anche il cinema "recitato" ha perso la brillantezza che lo caratterizzava mezzo secolo fa, producendo solamente sporadiche opere di valore e al contrario molta spazzatura.

Viceversa, il cinema francese negli ultimi decenni si è caratterizzato per una certa vivacità nell’ambito del cinema di animazione.
Così, al volo, cito i vari I figli della pioggiaAzur e AsmarKirikù e la strega Karabà, La profezia delle ranocchie, La bottega dei suicidiAppuntamento a Belleville (quest’ultimo diretto dal medesimo regista di questo)… tutti prodotti che l’Italia cinematografica attualmente si sogna.

Anche se a dire il vero alcuni mesi fa ho visto un buon film d’animazione italiano, ossia L’arte della felicità, che difatti mi aveva fatto piacere vedere.

Ma veniamo al film di oggi. L’illusionista, oltre al fatto di essere un film d’animazione di essere di provenienza francese (franco-britannica, per completezza d’informazione), ha anche un’altra caratteristica, ossia quella di non avere in pratica parlato.
Non è un film muto, perché c’è una colonna sonora, e anche bella, nonché qualche parolina e qualche verso sparso qua e là, ma in pratica non ha dialoghi, cosa che lo rende un’esperienza essenzialmente visiva e uditiva… nonché emotiva, giacché il film, tra i bellissimi panorami e la bella colonna sonora, nonché quanto proposto dalla trama, riesce a toccare le corde emotive dello spettatore.

Nonostante esso non abbia alcun dialogo, la trama si segue senza problemi, e come prevedibile è assai semplice; peraltro, non è pesante da seguire giacché il film è assai breve, appena 75 minuti.

Ecco in poche parole la sintesi del film: siamo nel 1959 e il protagonista della storia è un uomo già abbastanza anziano che di lavoro fa l’illusionista. Il mestiere però non attira più come un tempo, tanto che egli si trova costretto a passare dalle esibizioni nei teatri a ingaggi sempre più modesti.
Durante uno di questi conosce una giovane cameriera, che lavora in una specie di taverna e che, presolo in simpatia, lascia il suo lavoro e lo segue.
Tra i due verrà così a crearsi una sorta di rapporto tipo padre e figlia… compreso il fatto che lei gli chiede delle cose, vestiti e scarpe, e lui cerca di procurargliele, pur dovendo fare i conti con guadagni sempre minori, che cerca di fronteggiare tramite qualche altro lavoretto.

Visivamente L’illusionista è molto bello: è una sorta di fumetto d’altri tempi, e propone ambientazioni davvero d’atmosfera, sia naturali che urbane. L’animazione è fluida e ben integrata con gli sfondi “dipinti”, rendendolo un’esperienza visiva di valore.

Il film manca però di un certo mordente e la tara dei mancati dialoghi è pesante, fatto che rende L’illusionista più un esperimento che non un film vero e proprio.
Un esperimento gradevole, e sensorialmente d’impatto, a dirla tutta, ma a mio avviso non si può dire che sia riuscito in pieno, da cui la mia valutazione discreta ma non esaltante.

Un commento sul finale, legato all'abbandono e al distacco: il coniglio, la ragazza, la stessa professione.

Fosco Del Nero



Titolo: L’illusionista (The illusionist).
Genere: animazione, commedia, drammatico, sentimentale.
Regista: Sylvain Chomet.
Anno: 2010.
Voto: 7.
Dove lo trovi: qui.

martedì 18 aprile 2017

La ricompensa del gatto - Hiroyuki Morita

La ricompensa del gatto, film d’animazione giapponese del 2002 è una sorta di seguito del precedente I sospiri del mio cuore, che avevo già visto e recensito in precedenza, e che aveva maturato un’ottima valutazione.

In realtà, avevo già visto anche il presente film, ma non lo avevo recensito, forse per una dimenticanza.
Poco male, provvedo ora.

Il genere del film è grossomodo il medesimo: siamo sulla commedia fantastica surreale, condita con un pizzico di sentimentalismo (più fantastico che sentimentale).

Ecco la trama: Haru è un’adolescente che si giostra come tutte le sue coetanee tra la scuola, le amiche e i ragazzi che le piacciono. 
Un bel giorno, l’equilibrio della sua vita viene scosso, e anzi proprio travolto, dalle conseguenze di un atto in teoria poco rilevante: la ragazza salva un gatto da un possibile investimento… 
… e poi viene a sapere che si trattava del principe del Regno dei Gatti, regno che provvederà a sdebitarsi con lei, seppure in modi inaspettati e non del tutto graditi, compresa la proposta di matrimonio del Re verso il figliol principe.
Haru, che ovviamente non vuole sposare un gatto, dietro suggerimento di una voce misteriosa (ma bella), si rivolge a un misterioso ufficio per risolvere le divergenze con i gatti, che vede come titolare Baron, che per l’appunto era uno dei protagonisti del precedente film I sospiri del mio cuore, col quale comunque questo non ha alcun rapporto di parentela a livello di trama.
Dell’ufficio fanno parte anche il gatto Muta e il corvo Toto.
I tre aiuteranno Haru nel suo tentativo di evitare le “ricompense” del Regno dei Gatti.

Detta così la trama sembra piuttosto demenziale, e in effetti il film ha una forte dose di surrealismo, come detto, però La ricompensa del gatto non si propone come film giapponese “fuori di testa” (e Dio solo sa quanti ce ne sono, d’animazione o recitati), ma come una sorta di favola dolce e un po’ bizzarra, sospesa tra il mondo umano e il mondo felino.

Dico la verità: La ricompensa del gatto non ha tantissimo da offrire, se non un poco di passatempo di genere onirico-fantastico, magari a qualche appassionato di anime.
O magari a qualcuno cui era piaciuto I sospiri del mio cuore, decisamente superiore a questo suo seguito spurio, che comunque ho gradito per il linguaggio, come spesso accade piuttosto ricercato e di maniera, per la vivacità, per i colori dell'animazione e per alcune trovate interessanti.

Pur non essendo scarso, ma al massimo appena sufficiente, La ricompensa del gatto è comunque un film d’animazione di cui si può benissimo fare a meno, senza dubbio uno dei prodotti peggiori che abbia mai visto dello Studio Ghibli
… e, per carità, se il peggio è questo ben venga il meglio.

Chiudo la recensione con una citazione di genere psicologico-introspettivo-esistenziale, che sapete che mi piacciono molto: “Hai bisogno di riflettere su come imparare ad essere te stesso. Allora, non avrai più nulla da temere”. Da citare anche l'elemento di crescita della protagonista, pur se niente di trascendentale anch'esso.

Fosco Del Nero



Titolo: La ricompensa del gatto - Il ritorno del gatto (Neko no ongaeshi).
Genere: fantastico, commedia, surreale, sentimentale.
Regista: Hiroyuki Morita.
Anno: 2002.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 12 aprile 2017

Moebius - Gustavo Mosquera

La recensione di oggi è dedicata a un film argentino del 1996… che peraltro dato il bassissimo budget sembra un film ben più vecchio, più o meno degli anni “80: parlo di Moebius.

Bassissimo budget, dicevo, e la perenne sensazione che sia un film fatto in casa, per così dire.

Ecco in sintesi la trama di Moebius: nella metropolitana di Buenos Aires sta succedendo un mistero: non solo alcuni semafori diventano rossi o verdi di testa loro, in contrasto con gli orari di traffico previsto, ma un intero convoglio è scomparso… passeggeri compresi.
Come se non bastasse, di tale convoglio ogni tanto si sente il rumore e la vibrazione, proprio come se stesse continuando a viaggiare nel circuito della metropolitana, ma senza essere guidato o visto.
Un mistero che porterà il direttore della metropolitana a chiedere assistenza: finirà per occuparsene il giovane topologo Daniel Pratt, il quale, dopo aver analizzato la questione (non molto dopo, in realtà: il ragazzo a quanto pare è svelto), formula un’ipotesi più inverosimile che strana, che non a caso viene rigettata dai suoi referenti.
Egli però insiste nelle sue indagini, e alla fine svela il mistero della metropolitana, scoprendo che in esso era invischiato il suo vecchio professore di topologia, Hugo Mistein.

Veniamo ora al commento del film: va bene avere pochi soldi e mezzi a disposizione, però questo non è un buon motivo per mettere su un film che in buona parte è noioso e poco efficace. 
Praticamente siamo nella fantascienza mistica, anche se la cosa viene affrontata in modo assolutamente naif.

La mia valutazione di Moebius è complessivamente negativa. Non bastano in tal senso quegli unici tre minuti di film con un qualche valore, durante i quali vengono enunciati alcuni principi esistenziali interessanti. In tali tre minuti, tuttavia, vi sono contenuti bastevoli per l’intero film: forse da soli valgono la visione, ma la valutazione di un film deve comprenderlo per intero, e per questo è negativa.

Tornando ai minuti in questione, riassumo la scena per dare l’idea gurdjieffiana della situazione (chi non ha visto il film e vuole vederlo forse farebbe meglio a smettere di leggere): c’è un vagone fantasma che viaggia all’interno di un sistema di tunnel a forma di infinito, nel quale cui vi sono delle persone che sembrano come addormentate, mezze sonnambule, sveglie ma non sveglie.
Gli unici svegli sono il professore che ha capito com’è la questione e il suo ex studente che lo raggiunge studiando il suo lavoro (i due rappresentano rispettivamente il maestro spirituale e l’allievo).
Il professore, quello sveglio che sa cosa sta succedendo, definisce così gli avventori mezzo addormentati: “Loro non potranno mai svegliarsi prima di essersi resi conto che si sono addormentati”.

Dice anche che: "L'uomo ha inventato un'infinità di macchine, ma dimentica che egli stesso è una macchina molto più complicata di tutte quelle che ha inventato".

E che: "Non ci sono mai stati limiti. L'uomo non conosce i suoi limiti, né le sue possibilità. Non sa nemmeno fino a che punto non si conosce."

E ancora: "Siamo talmente occupati a cercare valori esteriori che non ci rendiamo conto di ciò che realmente ha valore".

E ancora: "Viviamo in un mondo in cui nessuno più ascolta".

E ancora: "Di cosa hai paura? Le vertigini? È normale: nessuno può trovarsi di fronte all'infinito senza provare le vertigini. Nessuno può sperimentarlo senza sentirsi profondamente disorientato".

E ancora: "Tutto questo non deve andare perduto: né gli uomini né il tempo spariscono senza lasciare traccia".

Nel film vengono dette altre frasi interessanti, a riprova dei contenuti esistenziali della pellicola.

"Ad ogni cambio di treno stiamo cambiando stiamo cambiando definitivamente il nostro destino".

"E questo a che serve?"
"Non lo so, mi hanno detto che potenzia la percezione."

Aggiungo inoltre che il giovane topologo cerca di spiegare la situazione ad alcuni signoroni, ognuno col suo titolone sociale di dottore, ingegnere, impresario, direttore, etc, ma nessuno capisce, e anzi rispondono ridicolizzandolo. Ciò è una chiara metafora: è proprio chi pensa di sapere già a precludersi la vera conoscenza. Il professore commenta questo fatto dicendo al suo ex allievo che gli altri non comprendono perché non hanno voglia di ascoltare.

Altra aggiunta: la storia è ambientata nella metropolitana, ossia sotto terra, ossia, simbolicamente parlando, nell'intimo e nel profondo dell'essere umano.

A parte questi pochi minuti di matrice Quarta Via, effettivamente molto emblematici, non c'è null'altro di meritevole in Moebius: se essi siano sufficienti per l’intera visione del film decidetelo voi. Di mio, posso dirvi che, se siete fortemente interessati agli argomenti evidenziati, il gioco vale la candela... altrimenti decisamente no.

Fosco Del Nero



Titolo: Moebius (Moebius).
Genere: fantastico, surreale.
Regista: Gustavo Mosquera.
Attori: Guillermo Angelelli, Roberto Carnaghi, Annabella Levy, Jorge Petraglia, Miguel Ángel Paludi, Fernando Llosa.
Anno: 1996.
Voto: 4.
Dove lo trovi: qui.

martedì 11 aprile 2017

Patch Adams - Tom Shadyac

Come immagino un po’ tutti, conoscevo perlomeno di fama Patch Adams, intendendo con ciò sia il film omonimo, sia il personaggio dalla cui vera storia è stato tratto il film, ma finora non me lo ero mai andato a vedere.

Anche perché, a dire il vero, pur apprezzando e ritenendo simpatico Robin Williams, non sono mai stato un suo fan sfegatato, e anzi non ho visto tantissimi suoi film.
Forse l’unico suo film cui sono particolarmente legato, per via delle tematiche esistenziali che propone, ma anche per la grande bellezza visiva, è Al di là dei sogni. Mentre i vari Miss Doubtfire e L’uomo bicentenario, pur gradevoli e ben fatti, mi hanno coinvolto decisamente meno.
E poi mi ricordo Jumanji, visto quando ero ragazzino.

Quanto al regista, Tom Shadyac, lo lego viceversa a film decisamente comici come Ace Ventura l’Acchiappanimali e Un'impresa da Dio, ma anche all’ispirato Dragonfly - Il segno della libellula.

Veniamo dunque a Patch Adams, che curiosamente e tristemente comincia col personaggio di Patch Adams in crisi depressiva dopo aver tentato il suicidio, tanto che si autoricovera in un istituto per persone con problemi mentali… alcuni grossi e alcuni meno grossi.
Qui l’uomo scoprirà la sua vera missione di vita: ossia aiutare il prossimo e farlo star meglio.
Seguirà quindi il corso di laurea in medicina, in cui il lato assistenziale e umoristico di Patch emergerà sempre di più… insieme ai problemi che gli porterà il suo essere così originale.

Il mio commento sul film è piuttosto semplice: Patch Adams è un film gradevole, che parte da una storia vera (che però non conosco nei particolari, ma solo nel binomio medicina-umorismo) e propone personaggi ed eventi interessanti e coinvolgenti, tanto sul lato “didattico” quanto su quello relazionale, compresa l’affettuosa storia d’amore con la bella Carin Fisher (Monica Potter; Saw - L'enigmista, Boston legal).

A tratti il film fa ridere, e a tratti commuove, ma soprattutto propone un tipo di assistenza medica meno formale e teorico, e più legata al paziente e al suo benessere.
Quando poi, e questa è una mia aggiunta, si sarà fatto il passo verso la medicina naturale, o ancora meglio verso il benessere di base con la singola persona che si prende cura di se stessa senza aver bisogno di medici, allora il percorso sarà completato.

Per ora accontentiamoci di tale passaggio, e di tale film, simpatico anche se un po’ qualunquista e semplicistico (e infatti non è piaciuto per tale motivo al vero Adams).

Chiudo la recensione di Patch Adams con due citazioni che mi sono piaciute.
La prima è relativa al percorso di ricerca personale, che in questa formulazione può essere inteso sia come percorso umano psicologico, sia come percorso animico-interiore:
“Tutti i cuori irrequieti del mondo cercano la strada di casa. È difficile descrivere cosa provassi allora. Immaginatevi di camminare per giorni in un turbine di neve, senza neppure accorgervi di camminare in tondo. La pesantezza delle gambe nei cumuli, le vostre grida che scompaiono nel vento, con la sensazione di essere piccoli, e immensamente lontani da casa”.

La seconda è relativa all’obiettivo assistenziale di Patch Adams: “Sarà una comunità dove la gioia è uno stile di vita, dove imparare è l’ambizione più alta, dove l’amore è il principale obiettivo”.

Fosco Del Nero



Titolo: Patch Adams (Patch Adams).
Genere: drammatico, commedia.
Regista: Tom Shadyac.
Attori: Robin Williams, Daniel London, Monica Potter, Philip Seymour Hoffman, Bob Gunton, Peter Coyote, Harold Gould, Josef Sommer.
Anno: 1999.
Voto: 6.5.
Dove lo trovi: qui.

mercoledì 5 aprile 2017

Mariti e mogli - Woody Allen

Mi manca ormai poco a terminare tutta la filmografia di Woody Allen, e per l’appunto Mariti e mogli è uno dei pochi esemplari finora mancanti.

Si tratta peraltro di un film che rispecchia in toto i canoni tipici del regista newyorkese, e che anzi per tanti versi è fortemente autobiografico, non solo perché ambientato a Manhattan, non solo perché tra i protagonisti vi sono lui stesso e l’allora sua compagna Mia Farrow, non solo perché il film comincia su note jazz di clarinetto, ma anche e soprattutto perché Mariti e mogli riflette per intero le caratteristiche tipiche di Allen: intellettualismo da un lato, ironia dall’altro, e per finire idiosioncrasie e turbe psicologhe, con ovvi effetti in campo relazionale.

Nonostante nel film sia presente l’intero campionario di Woody Allen, tuttavia, questo a mio parere non è affatto uno dei suoi migliori film, giacché si perde troppo nei dilemmi psicologici dei protagonisti, finendo per risultare non eccessivamente divertente e godibile.
Tra l’altro, ciò conferma la mia sensazione passata riguardo al “periodo Farrowesco” di Woody Allen, meno brillante e più contorto-psicologico-relazionale, e senza dubbio la cosa rifletteva il suo vissuto di quegli anni.

Ma ecco la trama in grande sintesi: la coppia formata da Gaby (Woody Allen) e Judy (Mia Farrow; Rosemary’s baby, Crimini e misfatti, Hannah e le sue sorelle, La rosa purpurea del Cairo, Ombre e nebbia, Una commedia sexy in una notte di mezza estate, Broadway Danny Rose), rimane scioccata nel sapere che la coppia di amici Jack (Sydney Pollack; Eyes wide shut, La morte ti fa bella, Tootsie) e Sally (Judy Davis; Il pasto nudo, Harry a pezzi, Alice, To Rome with love) ha deciso di separarsi di comune accordo.
Il risultato è che, mentre Gaby e Judy vanno avanti, pur tra qualche difficoltà, Jack si trova una ragazzina, mentre Sally non riesce a frequentare nessuno, ancora attaccata al marito.
Entrano poi in scena Michael (Liam Neeson; Star wars 1 - La minaccia fantasma, Haunting - Presenze), che Judy presenta a Sally ma che lei per l’appunto non vede come partner, e la giovanissima Rain (Juliette Lewis; Dal tramonto all’alba, Strange days), studentessa di Gaby, che si invaghisce del suo professore, in qualche mod ricambiata.

Le cose vanno avanti in modo instabile, fino a che…

In Mariti e mogli ci sono tanti topos, tipici del cinema di Allen ma più in generale della letteratura: la coppia che prova un periodo di separazione per vedere come va e poi torna insieme, la coppia che sembra solida ma poi si separa, l’uomo avventuriero e l’uomo più dolce e sensibile, la studentessa che ha una cotta per il suo professore e in generale per gli uomini grandi (altra tematica cara a Woody Allen, e non a caso la coppia Allen-Farrow si separa nella vita reale dopo questo film, per via della relazione tra Allen e la giovanissima figlia adottiva della Farrow… non so però se fosse allieva del regista), etc.

E in effetti uno dei punti deboli del film è proprio che non presenta originalità: né nella trama, né nei dialoghi, che solitamente Allen propone più ficcanti e brillanti.
Di qualche originalità (forse inserito proprio per sopperire a una carenza di innovazione interna del film) è lo stile documentaristico di alcune parti del film, in cui i vari protagonisti della storia commentano storia e personaggi proprio come se si trattasse di un documentario… curioso e di qualche interesse.

Ad ogni modo, pur non brillando di luce propria, Mariti e mogli si fa guardare e si conquista perlomeno una risicata sufficienza.
Stando così le cose, i film migliori di Allen per me rimangono Amore e guerraManhattanLa dea dell’amoreIl dormiglioneLa maledizione dello scorpione di giada, e ci aggiungo anche il più recente e brillantissimo Midnight in Paris.

Fosco Del Nero



Titolo: Mariti e mogli (Husbands and wives).
Genere: sentimentale, commedia.
Regista: Woody Allen.
Attori: Mia Farrow, Woody Allen, Judy Davis, Liam Neeson, Sydney Pollack, Juliette Lewis, Lysette Anthony, Cristi Conaway, Timothy Jerome, Ron Rifkin.
Anno: 1992.
Voto: 6.
Dove lo trovi: qui.

martedì 4 aprile 2017

Ipotesi di complotto - Richard Donner

La recensione odierna è dedicata al film Ipotesi di complotto, e la ragione per cui l’ho visto risiede nella tematica del film, tutta concentrata sul cospirazionismo… ma anche nel nome del regista, quel Richard Donner già direttore di Omen - Il presagio, de I Goonies, di S.O.S. fantasmi, di Ladyhawke, di Arma letale, tutti film di ottimo successo negli anni 80…

… ma poi più niente.
O meglio, qualche altro film come Ipotesi di complotto, ma evidentemente il periodo di creazione ispirata era già terminato.

Come evidente anche in Ipotesi di complotto, nonostante il film parta col botto per via del cast: Julia Roberts e Mel Gibson, come dire il top per il 1997.

Ecco in breve sintesi la trama del film: Alice Sutton (Julia Roberts; Mangia, prega, ama, Tutti dicono I love you, Closer, Pretty woman) è assistente alla procura di New York, mentre Jerry Fletcher (Mel Gibson; Arma letale, Braveheart - Cuore impavido, Batman) è un bizzarro tassista che appesta tutti i suoi clienti con teorie di genere cospirazionistico…

… che peraltro non sono inventate di sana pianta, ma sono reali, ma usate in modo semplicistico a beneficio del film e per la costruzione di un personaggio evidentemente un po’ svitato.

Il che già chiarisce il segno del film, piuttosto ridicolizzante…
… anche se poi a dire il vero esso tira in ballo addirittura l’Mk-Ultra, con tanto di personaggi (il dottor Jonas, interpretato da Patrick Stewart) e di obiettivi concreti.

Il tutto si muove tra commedia, dramma, sentimentale, psicologico, azione, thriller e cospirazionismo… con l’elemento bizzarro-grottesco che prevale, e che rende Ipotesi di complotto, nonostante le tematiche in teoria pesanti e importanti, e nonostante scene di sangue, sparatorie e morte, una commedia grottesca con l’elemento sentimentale sullo sfondo… e infatti a fine film esso esce fuori.

Durante lo svolgimento di tale “commedia sentimentale”, si citano il nuovo ordine mondiale, gli omicidi di stato, il controllo mentale, l’Mk-Ultra, e probabilmente altro che ora non mi ricordo… insomma, mica robetta.

Peccato che il film in sé siano piuttosto banalotto e poco verosimile, tanto nella successione degli eventi (un controllato mentale che ribalta la situazione e lotta contro i controllori), quanto nella relazione sentimentale davvero improbabile che ne vien fuori. 

E non diciamo niente sulla solita tendenza nel rendere ridicole proprio quelle questioni su cui la gente dovrebbe informarsi, altro che farne filmetti tonti per gente distratta.

Fosco Del Nero



Titolo: Ipotesi di complotto (Conspiracy Theor7).
Genere: drammatico, azione, thriller, sentimentale.
Regista: Richard Donner.
Attori: Julia Roberts, Mel Gibson, Patrick Stewart, Cylk Cozart, Steve Kahan, Terry Alexander, Alex McArhthur.
Anno: 1997.
Voto: 4.5.
Dove lo trovi: qui.

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